Quest’anno eccezionalmente il Salone del Mobile, evento principe del design, non si terrà in primavera, ma è spostato (forse) a settembre. Noi però abbiamo voluto parlare ugualmente di Design durante la scorsa data di FDO – For Disruptors Only.
Intitolato “Don’t Leave Me (S)alone”, l’incontro ha ospitato molti invitati, riuniti attorno a 4 round table (virtuali).
Ma prima di addentrarci nel vivo degli argomenti trattati, proviamo a dare una definizione a ciò che è il Design. Riccardo Bovetti, nella sua “Introduction to Disruption”, ci ha provato:
“Il susseguirsi di scoperte e invenzioni ha oggi lasciato il posto al Design, cioè la capacità di mettere insieme e reinventare in modo creativo e innovativo cose che sono già esistenti. È innovazione più che novità.
La caratteristica che ha un oggetto di design deve essere quella di funzionale, ma l’idea è quella di rendere possibile la funzionalità senza un eccesso di complicazione, ma con un eccesso di bellezza”.
Brand
Ad aprire l’evento sono stati Nazzareno Mengoni, Claudio Garosci e Davide Grosso parlando di Brand in ambito del Design.
Dietro ad ogni oggetto di design, c’è un brand e dietro ad ogni brand c’è una storia. E certamente il nostro Paese ha contribuito in modo sostanziale a fare la storia del design.
“Siamo riconosciuti nel mondo per il Made in Italy: è essere cresciuti nel mondo del bello e avere la capacità di mettere nei dettagli dei prodotti e nel raccontare come li facciamo il vero valore aggiunto delle nostre aziende. Questo è il valore che ci contraddistingue”. È questo ciò che sostiene Nazzareno Mengoni.
Ma ad oggi avere tale etichetta, il marchio di italianità, non basta più. Essere un brand affidabile e di qualità è un dato per scontato. Partendo da queste basi bisogna essere riconoscibili e distinguersi per altro: è necessario essere vicino al cliente, essere in grado di ascoltare i suoi desideri, personalizzare e customizzare su misura il prodotto.
Davide Grosso, sviluppando pezzi d’arredo unici in metallo, tessuto e legno fa esattamente questo e, a riguardo, dice: “Mi piace l’idea che quando un cliente viene qua sente che gli si cuce addosso un vestito, che poi è il vestito per la sua casa, che rappresenta la sua identità di arredo”.
In merito alla sua realtà “G|Lab Milano” ci tiene a sottolineare che l’attenzione e la cura verso il cliente sono tali da ricordare il rapporto che c’era tra bottega e artigiano di una volta.
Il pubblico, quindi, non sceglie il prodotto solo in base alla sua funzionalità, ma presta attenzione e sposa quello che c’è dietro: il purpose e l’identity del brand, i suoi valori, il suo credo. A proposito Claudio Garosci sostiene: “La questione è di carattere esistenziale: non compriamo prodotti ma identità, soddisfiamo esigenze di carattere esistenziale, quello che compriamo in una determinata azienda, compriamo l’azienda, è un tema identitario”.
Un esempio? Ikea. La multinazionale svedese dell’arredo non parla mai delle caratteristiche tecniche dei suoi prodotti né tanto meno della loro qualità, perché chi va a comprare da loro si rispecchia e si identifica nel loro “design democratico”, quel design che parla a tutti e adatto a tutti.
La bravura di un brand sta nell’ascoltare (il pubblico) e nel comunicare (al pubblico): ascoltare gli altri e comunicare se stesso. È la capacità di narrarsi, il raccontare la storia del brand e la sua identità che fa scattare il meccanismo d’acquisto.
Build-hers
Iconico e inusuale associare la figura femminile al settore dell’edilizia, ma durante il secondo round table si sono riunite proprio tre donne, tre costruttrici che lavorano nell’ambito dell’edilizia: Regina De Albertis, Violetta Breda e Silvia Ricci.
Siamo da sempre abituati a pensare che il mondo dell’edilizia (così come gli altri settori in cui si è necessario “sporcarsi le mani”) appartenga ai soli uomini, ma è arrivato il momento di superare questa convinzione, e le tre build-hers presenti ne sono la prova. Silvia Ricci, infatti, sostiene: “C’è l’idea che le donne non debbano stare nel mondo dell’edilizia. Nel futuro dovrà essere normale che le donne facciano parte di settori tecnologici, delle costruzioni, dell’ingegneria”.
Ad oggi certamente il gander gap rimane ancora elevato: pensare continuamente che le donne non siano adatte a svolgere determinati compiti inasprisce la loro inadeguatezza in questi settori. Lentamente però si sta andando verso un cambiamento. L’accettare il fatto che anche le donne possano entrare a far parte del mondo delle costruzioni, sicuramente porta ad un cambio di mentalità, dal quale a sua volta ne conseguirà innovazione e progresso.
Cambiare il tipo di approccio ad un business consolidato non è così immediato perchè non è facile capacitarsi che una nuova idea possa funzionare anche più di quella precedente.
Spesso le nuove idee nascono da una semplice intuizione e lasciarsi guidare da chi l’ha avuta è sinonimo di grande fiducia e apertura verso nuove strade. Questo è ciò che è accaduto alla creatrice di Architempore, Violetta Breda, l’influencer delle costruzioni.
“Raccontare l’edilizia vuole cura e attenzione perché c’è di mezzo la sicurezza dell’ambiente di lavoro, che viene al primo posto” racconta. Essere influencer nell’ambito dell’edilizia può essere la chiave di volta tra il costruttore e il cliente perché come sostiene lei stessa: “L’influencer marketing è la svolta per le aziende, crea un legame emozionale perché le persone sanno chi c’è dall’altra parte”.
Inoltre, gli avvenimenti che siamo stati costretti a vivere nell’ultimo periodo, hanno portato a vedere la propria abitazione in modo diverso: se prima alcuni vedevano la casa soltanto come un posto in cui passare poco tempo tra un impegno e l’altro, ora moltissimi la considerano un punto sicuro.
Le parole di Regina de Albertis sono state: “Ci sarà l’esigenza di volere la casa in cui passare la maggior parte del tempo e luogo in cui ci saranno più funzioni. Non solo come casa dormitorio ma in cui una persona possa fare tutto e in cui abbia tutti i servizi a portata di mano. Il tempo sarà la componente fondamentale”.
Anche per questo, perciò, diventa fondamentale un ruolo come quello dell’influencer, una figura di cui ci si possa fidare e dalla quale si possano apprendere utili consigli, per poter rendere il più comfort possibile uno spazio così importante come quello della propria abitazione.
Retailers
In un momento storico in cui gran parte dei consumatori si affida a grandi aziende che producono pezzi standardizzati, per i retailers al dettaglio può non essere facile sopravvivere ed affermarsi sul mercato. L’idea di Rosanna Tozzo, Pierpaolo Schiatti e Sean Livraghi è stata quella di abbattere le frontiere che spesso dividono le PMI, non considerarsi competitors, ma unirsi per costruire un unico gruppo. Da qui è nato “Milano Good Design”, la più grande rete di arredamento d’Italia.
Pierpaolo Schiatti in merito afferma: “Fare sistema e fare gruppo può portare a creare una rete e a raggiungere segmenti che altrimenti non si sarebbero raggiunti, è importante collaborare con gli altri e non vederlo solo come competitor, sta qui la forza”.
Ma una volta capito che la forza sta proprio nell’unirsi e fare gruppo, come farsi scegliere dal consumatore finale?
Innanzitutto è fondamentale avere delle basi di marketing, studiare e conoscere il target al quale ci si rivolge. In questo modo si riesce a comprendere il consumatore finale e a seguirlo durante tutti i passaggi, dalla progettazione alla messa a punto dei particolari. Avere un occhio di riguardo verso il cliente, ascoltare i suoi bisogni e le sue esigenze è ciò che caratterizza i retailers e ciò che la grande distribuzione non fa.
“Ci siamo dedicati all’esserti vicino e farti capire come sarà il risultato finale. Cerchiamo di fare il progetto il più vicino possibile alla visione della tua casa ideale” sono le parole di Rosanna Tozzo.
In questo senso la digitalizzazione ha facilitato e velocizzato i processi anche nel mondo del retail, riuscendo così ad avere un’idea complessiva del risultato finale ancora prima di materializzarlo. Per alcune fasi, però, l’incontro fisico tra progettista e cliente non può passare in secondo piano: “Per quanto riguarda la fase progettuale la tecnologia ha aiutato tantissimo” sostiene Sean Livraghi “ma il problema è quando gli oggetti vanno visti, toccati, scelta la sfumatura di colore e l’abbinamento cromatico. Qui è fondamentale l’incontro fisico tra cliente e progettista”.
Designers
L’ultimo dei quattro round table è incentrato sulla figura dei designers: ospiti sono stati Salvatore Ponzo, di Foro Studio e Sara Peluso e Martina Caiazzo di Monomio.
Parlando di design è quasi obbligatorio citare il Salone del Mobile e il Fuorisalone, eventi in cui era fondamentale essere presenti non soltanto per vedere dal vivo la mostra, ma soprattutto per poter interagire con le istallazioni e con gli oggetti di design.
In un periodo in cui ogni evento di questo genere è rinviato a data da destinarsi, l’unica soluzione possibile sembra essere quella di andare verso una direzione ibrida, in cui l’ambiente fisico e quello digitale si uniscono e si fondono.
“Il problema è avere persone che si aggregano in spazi chiusi, bisogna non eliminare completamente gli spazi fisici ma lavorare nel mondo del “phygital”, lavorare in una realtà con una presenza fisica con numeri ristretti e spazi all’aperto. Far in modo che i brand possano esporre una quantità limitata di prodotti dove è possibile interagire” questo è ciò che dice il nostro ospite Salvatore Ponzo.
Ne deriva quindi il fatto che il futuro degli eventi di questo genere sarà destinato soltanto ad una parte esigua di spettatori: sarà necessario selezionare il pubblico presente (e selezionare quello giusto). Si creeranno così degli eventi esclusivi in cui partecipare sarò considerato il nuovo lusso.
Nonostante nell’ultimo periodo si siano fatti enormi passi in avanti, il digitale nasconde un’ambiguità di fondo: da una parte tutti vogliono essere presenti online e comunicare i loro progetti e le loro idee e dall’altra si ha ancora molta diffidenza verso ciò che è intangibile.
Da qui, perciò, la figura dell’influencer è fondamentale: affidarsi a qualcuno che ha un grande seguito è la chiave per farsi conoscere. Ma “se l’influencer è l’unico modo per comunicare il prodotto” dicono Sara e Martina “bisogna capire a chi affiancarsi, chi realmente può essere ambassador”.
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