La Disruption secondo i Disruptors: Riccardo Bovetti
Con _ Riccardo Bovetti
Presentati _ Partner di EY, mi occupo di consulenza alle imprese su tematiche di Performance Management (qualsiasi cosa voglia dire).
Stiamo vivendo una situazione inedita, che cambierà completamente il contesto sociale ed economico. Ci sarà un pre e un post-COVID19.
Pensi che il modo di affrontare queste giornate possa fare la differenza su quello che ci aspetterà quando tutto questo sarà finito?
Mai come oggi è importante saper imparare, disimparare e imparare di nuovo: quali competenze consiglieresti di allenare o approfondire?
Siccome dovremo essere preparati a tutto dobbiamo sviluppare (e rafforzare) sensibilità critica ed agilità nei confronti del “nuovo” e dell’ignoto. Per cui i suggerimenti sono:
- Studiare logica matematica, perché la logica è la base delle cose… è il “cosa” delle cose.
- Studiare (o per chi ha già avuto la fortuna di studiarla da giovane riprendere e rinfrescare) la filosofia ed in particolare l’etica, perché in questi momenti difficili abbiamo visto emergere ed affermarsi dibattiti sui temi che coinvolgono fortemente aspetti che ad ogni buon conto ricadono sotto l’ambito dell’etica: dal tracciamento degli spostamenti, alla raccolta e la distribuzione/diffusione di dati ed informazioni sensibili. L’etica e la filosofia sono il “perché” delle cose.
- Prendere dimestichezza con la psicologia ed in particolare la psicodinamica, perché dovremo saper affrontare lutti (quelli veri, tristemente numerosi), assenze (anche queste vere e numerose), ma anche “lutti ed assenze” rispetto alle nostre abitudini, al nostro modo di stare al mondo. La psicologia deve darci il “come” delle cose.
Il tuo business o la tua attività ha risentito del lockdown?
Purtroppo sì, per molte ragioni concomitanti. La consulenza alle imprese è un’attività che, salvo pochi topic, non assume carattere di necessità. Quindi abbiamo risentito dello spostamento delle priorità e dell’allungamento (diciamo deferimento) dei processi decisionali. Siamo stati penso una delle prime società ad attivare in modo massivo la modalità Smart Working (siamo sostanzialmente in questa modalità, in tutti gli uffici, dal 21 febbraio scorso), questo ci ha permesso di portare avanti le progettualità che erano in corso al momento del lockdown con risultati in termini di efficienza ed efficacia che devo dire, sinceramente, mi hanno persino stupito (positivamente, devo dire). In questi ultimi giorni stiamo riuscendo a fare una cosa che non avrei mai pensato possibile: presentare un servizio, definirne le caratteristiche, concordare la progettualità, svolgerla e terminarla completamente in “virtuale”.Devo dire che ha dato una grande mano in questo senso anche un’iniziativa – #fermiamocisenzafermarci – che ho voluto lanciare qualche settimana fa per sensibilizzare i miei clienti ed i miei “contatti” circa l’esigenza di avvertire quel senso di “urgenza” del cambiamento (come sotto riportato) e di non rimandare tutto al “POI”, ma di cercare di sfruttare anche questo periodo sospeso per portarsi avanti con qualcosa di quello che non si ha mai tempo di fare in tempi normali. Quindi sì, abbiamo accusato il colpo, stiamo cercando in tutti i modi di reagire rimanendo vicini ai nostri clienti per garantire la continuità del servizio e per prepararsi in modo serio al dopo (intendendo per dopo tutte le fasi che seguiranno, che ineriranno necessità differenti).
Il modello di “Change Management” proposto da John P. Kotter inizia con una fase chiamata: creare il senso di urgenza del cambiamento. Il lockdown ha spinto inevitabilmente a una nuova percezione sotto due punti di vista: vedere la digitalizzazione non più come un mezzo di competizione, ma come una condizione di sopravvivenza e una predisposizione al rischio e al cambiamento completamente nuova.
“When you ain’t got nothing, you got nothing to lose”, lo diceva anche Bob Dylan.
Si scopre quanto si è forti solo quando essere forti è l’unica strada, secondo te quando torneremo alla nuova normalità i benefici di queste consapevolezze potranno essere la chiave per rialzarsi e per diventare, magari, addirittura più competitivi di come eravamo prima?
Sono convinto che il vero parametro di misurazione del cambiamento sarà il fatto che questa consapevolezza diventi inconsapevole. La digitalizzazione, in questo contesto, deve diventare uno strato trasparente, indispensabile ma quasi consciamente inavvertibile… la digitalizzazione come la nuova elettrificazione, per intendersi.
Social media e “canali digitali” hanno mostrato in questo periodo (anzi, stanno mostrando) al tempo stesso il meglio ed il peggio di quello che possono offrire. Da un lato sono stati un motore di condivisione e di “connessione” che rende impossibile immaginare un periodo di questo tipo senza. Dall’altra, purtroppo, hanno costituito (ops, stanno costituendo) anche un palcoscenico “senza filtri” per le nefandezze comunicative per le quali iniziamo (lentamente) a sviluppare anticorpi. Se devo dire la cosa che mi ha lasciato più perplesso (per ragioni di mia scelta personale) è il rendermi conto che in realtà la parte del leone la fanno ancora i media tradizionali, in particolare la TV generalista. Penso che il ruolo del digitale sarà sempre più nel future a support del fisico, anche nel mondo degli eventi e della comunicazione, e che forse contribuirà (on the long run) al declino dei media più tradizionali.
Home-Working o Smart-Working? Non è la stessa cosa essere obbligati a lavorare da casa oppure studiare nuove metodologie di lavoro per renderlo più “smart”. Spesso in Italia confondiamo lo smart-working con pratiche orientate ad una maggiore flessibilità di orario. Il vero smart-working parte da una leadership moderna, orientate alla fiducia e all’empowerment e a un senso di responsabilità molto
alto nei lavoratori. Un lavoro orientato all’outcome, prima che al “monte ore”. Secondo te andrà in questa direzione il futuro del lavoro? Se sì, come prepararsi?
Si andrà necessariamente in questa direzione, fosse anche solo perché questo periodo ha dimostrato il fatto che è possibile farlo. Sarà più difficile giustificare la necessità di richiedere a qualcuno di fare 300 km in auto per una riunione di mezz’ora dopo che per mesi ci si è comportati sotto la spinta del principio di necessità in un modo completamente diverso. Questa non è però necessariamente una buona notizia per tutti. Innanzitutto perché questo ci porterà ad uno “smart divide” tra quelle tipologie di lavoro che lo permetteranno e quelle no. Inoltre, un mondo di “professionisti sul divano” non è esattamente quello che può sostenere alcune delle nostre filiere più important (ad esempio, il tessile).
Prepararsi allo smart-working non significa adottare una tecnologia di videoconference (anche se questo è un passaggio fondamentale): significa ridisegnare alcuni processi di lavoro in una modalità diversa ed adottare “comportamenti organizzativi” completamente diversi. Un mondo del lavoro ancora a “silos” e che integra le informazioni di ogni vertical solo per tramite di momenti di comunicazione “informali” rende impossibile essere efficienti nel momento in cui devono portare in virtuale le attività e queste dovranno necessariamente essere organizzate per processi. Come prepararsi? Identificare le attività critiche, mapparle secondo formalismi che ne permettano di ridisegnare il flusso in termini di processo, eliminare i punti di snood “informali” ed analogici ed abituarsi a svolgerlo in fisico come in virtuale. In pratica dovremo iniziare a lavorare negli uffici nello stesso modo in cui lavorerem(m)o in smart.
Consigliaci un libro, un podcast e un video per prepararci al meglio alla disruption, al fine di renderla stimolo, consapevolezza e non preoccupazione.
Libro: “Pensare l’insosfera. La filosofia come design concettuale” di Luciano Floridi (Cortina, 2020). Perchè la capacità di fare e farsi le domande giuste diventa fondamentale per affrontare il futuro.
Podcast: “Sei Gradi – RAI3”: per abituarsi all’agilità necessaria per passare da un concetto all’altro e per scoprire mondi (in questo caso musicali) nuovi.
Video: “The danger of a Single Story – TED” di Chimamanda Ngozi Adichie, perché raccontare storie è importante e lo è ancora di più in questo momento. E farlo consapevolmente è una necessità pressante.