Politica, libertà d’espressione, democrazia? Più che altro una riflessione sul (troppo?) peso che attribuiamo ai social media.
Essere escluso dai social network è un atto di censura? Equivale a non poter più comunicare? È una limitazione della libertà d’espressione?
Il caso Trump, escluso da Facebook e Twitter dopo i fattacci di Capitol Hill, ha generato molte domande a cui tanti hanno provato a rispondere, generando più confusione che chiarezza su un argomento che in effetti lascia molto spazio alle interpretazioni.
La provocazione che voglio fare è però un’altra: essere esclusi dai social quando sono i principali canali di comunicazione e di propaganda è sicuramente un danno per un politico, ma quanto lo sarebbe per un’azienda? Quanto sarebbe grave l’espulsione dai social per la tua attività imprenditoriale?
Se il tuo web marketing si basa in larga parte, per esempio, sul traffico che ‘compri’ e che riesci a generare dai social, il danno sarebbe sicuramente grave.
Il caso Trump mi offre però la possibilità di riflettere su quanto molte attività online siano dipendenti da servizi di terzi, a cui negli anni abbiamo ceduto dati, informazioni e contenuti senza nemmeno rendercene conto. Gli esempi sono i più diversi, dalla realizzazione del sito web, all’invio delle newsletter, ai social di cui abbiamo parlato, ecc.
Cosa faresti se d’un tratto non potessi più usare i social media e le loro piattaforme di advertising e lead generation?
Facebook & Co. sembra che siano diventati il web, ma non è così. Dopo l’esclusione di Trump dai social, i suoi seguaci si sono subito attivati per creare una propria community altrove, cercando di lanciare un social media per sovranisti (“GAB”).
Nel 2008, la campagna elettorale di Barack Obama diventò un caso studio di successo per aver saputo usare Internet per creare un fortissimo engagement con il suo elettorato. La strategia si basava sulla forza della community costruita online soprattutto grazie al sito web, dato che i social all’epoca non erano ancora così dominanti. Riuscì a bypassare i media tradizionali, cosa che nessuno prima di lui aveva mai potuto, e saputo, fare.
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Lasciando da parte i giudizi politici, parlando di aziende, se la soluzione fosse proprio quella di creare una propria comunità, su una piattaforma proprietaria su cui hai il controllo su tutto? È pensabile solo per i grandi brand?
È una strada coraggiosa e più dispendiosa, ma che permetterebbe di costruire un asset aziendale molto prezioso.
I social sono ormai dei media veri e propri, se vuoi visibilità devi pagare, se vuoi click devi pagare, se vuoi lead devi pagare. L’accesso è gratis, quindi è giusto così.
Ma “essere social” per continuare a pubblicare contenuti senza riuscire a portar fuori del valore non ha senso, è un presidio inutile e sterile, forse servirebbe per la funzione di customer care e, appunto, per le sole compagne a pagamento.
Allora pensa al tuo web marketing mix e considera i social come un’opportunità strategica, ma non come a un pilastro, come a una freccia tra le tante ma non certo come all’arco. E lo stesso vale per tutti i servizi di terze parti.
I pilastri del business online sono altri, sono quelli proprietari: strategia, sito, lista di contatti e SEO, quelli che ti portano risultati (organici) molto più solidi del traffico acquistato. Gli sforzi spesi nel costruire questi pilastri sono un investimento, non soldi bruciati.
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