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_ Ho fatto smart working per 8 anni, ho vissuto in una grotta?

Il riferimento è ovviamente al video di Beppe Sala con il quale il sindaco di Milano invitava i milanesi a tornare a lavorare in ufficio e a lasciare la ‘grotta’ del lavoro da casa.

Tante le reazioni di chi si è sentito beffato due volte: da una parte, il Covid che ha mandato in crisi la vita e il lavoro, dall’altra chi pensa che lavorare da casa non sia lavorare.

Sull’argomento posso dire la mia perché ho avuto una lunga esperienza di lavoro agile, di cui sento un po’ la mancanza ma in modo contraddittorio, tra poco ti spiego perché.

Lavorare da casa non è lavorare

Mi sembra un po’ la storia della fattura elettronica, grazie alla quale avremmo dovuto risolvere, in larga parte, il problema dell’evasione fiscale. Chi non faceva le fatture prima non le fa neanche con la fatturazione elettronica, così come chi non lavora e fa il furbo in ufficio, lo fa anche a casa, e chi invece è professionale da una parte lo è anche dall’altra.

Il pregiudizio sul lavoro da casa è il motivo principale per cui in Italia non riesce a diventare una modalità stabile e diffusa. I datori di lavoro, soprattutto i meno giovani, non si fidano dei propri dipendenti, la spiegazione è tutta qui, ricorrono al telelavoro solo quando non hanno altra scelta, così com’è successo durante la quarantena.

Il fatto che l’Italia sia un paese dalla bassa produttività in rapporto alle ore lavorate da loro un po’ di ragione, ma dove sta allora quel cambio di mentalità che doveva accompagnare la riscossa del digital avvenuta nel momento del bisogno? Finita l’emergenza è finita anche la riscossa?

E non parliamo di Smart Working

Ho lavorato da casa per 8 anni come free lance, si trattava di un ibrido tra il telelavoro e lo smart

working. Lavoravo con degli obiettivi, non avevo obblighi di orario ma ero io che me li ero imposti, probabilmente per un condizionamento culturale (difficile sganciarsi dall’abitudine del ‘9–18’), un po’ per autodisciplina.

Sì perché lavorando in autonomia bisogna cercare di non cadere nelle tentazioni che si hanno a casa, quelle che fanno perdere tempo. Per essere produttivi bisogna darsi delle regole e rispettarle, questo è fondamentale, soprattutto per un lavoratore autonomo.

Mi capitava spesso di lavorare anche in altre sedi e anche questo richiede una certa capacità organizzazione.

Quello che ho fatto in quegli anni era un tipo di smart working, un lavoro a obiettivi, l’orario da ufficio classico era una mia scelta, quello che dovevo fare era portare i risultati richiesti.

Ciò che le aziende chiedono ai lavoratori oggi è, invece, quasi sempre telelavoro, non smart working. Sono poche quelle pronte e strutturate per fare il lavoro agile per obiettivi e se manca la fiducia di base sulla professionalità dei dipendenti è meglio non pensarci neanche.

Lavorare da casa è bello?

Ora che tanti miei conoscenti hanno provato l’esperienza che per me è durata 8 anni, sono in tanti ad aver capito che non è proprio una passeggiata. Sono tante le difficoltà pratiche e organizzative già in una situazione normale, figuriamoci in periodo di Covid, con asili e scuole chiuse e i figli piccoli che si auto invitano alle video call.

Ma ci sono anche problemi di altro tipo. Lavorare da casa vuol dire lavorare in solitudine, non bastano Zoom o Skype a cambiare questa situazione. La relazione umana e lo scambio professionale sono limitati e a me, a un certo punto, la cosa ha cominciato a pesare.

Ho sempre cercato di auto motivarmi, di studiare e formarmi, ma spesso mancava qualcosa, quella parte che da solo non riuscivo mai a trovare.

La modalità ideale di lavoro, quindi, per me è una soluzione ibrida, un mix tra lavoro in ufficio e da casa, ma secondo un ottica smart. Non possiamo più pensare che sia il tempo la variabile su cui essere valutati economicamente, o per lo meno non può essere l’unico parametro.

È una questione di responsabilizzazione dei lavoratori e chi fa selezione dovrebbe essere in grado di fare una valutazione anche in questo senso.

Professionalità vuol dire fare bene il proprio lavoro anche quando non c’è nessuno che ti controlla”.

Tutta l’economia si basa sulla fiducia, da sempre, e così dovrebbe essere anche per il rapporto di lavoro. Il controllo può arrivare fino a un certo punto, poi c’è la professionalità di ognuno, non importa quale sia il luogo di lavoro.

Mauro Carturan

Mauro Carturan

Content Manager, papà e idealista. Provo a dare il mio contributo per un mondo migliore.