Le decisioni non sono (quasi mai) “Data driven”.
Da ogni parte ci raccontano che il futuro sarà in mano a potenti computer in grado di processare una quantità di dati così grande che non si riesce neanche a esprimere in cifre.
Mi ha confortato però leggere una articolo di Forbes che mette in evidenza l’importanza della personalità e della leadership, di qualità umane e soggettive come le esperienze.
Bisogna fare scelte “Data driven”. È uno dei mantra dell’era delle tecnologie esponenziali. Eppure quando si tratta di convincere qualcuno della bontà di una proposta, l’uso delle statistiche può ispirare un comportamento chiamato “rifiuto della premessa”, cioè la facile obiezione che i soli dati, nudi e crudi, non dicono la verità e non bastano a supportare un’idea.
Questo genera diffidenza e sospetto in chi ascolta.
Le informazioni non si trasformano automaticamente in un comportamento. Un persona informata non è detto che prenda la decisione più logica e razionale che consegue a quell’informazione.
Lo sappiamo bene noi del digital che studiamo gli intenti di ricerca per il SEO. L’intento informativo è il primo passo di un percorso di scelta e di acquisto, ma la decisione finale può venir fatta sulla base delle informazioni ma anche no, o non solo.
A volte le decisioni sfidano le statistiche perché si basano non solo sulla razionalità. Puoi essere consapevole che mangiare qualcosa di troppo dolce ti può fart male, ma potresti volerti concedere lo stesso quello sfizio, in barba alle informazioni in tuo possesso sul quel cibo e sulla tua salute.
Le decisioni le prendiamo sempre da una prospettiva interna, dove le statistiche possono o non possono avere importanza. Abbiamo le informazioni, le conosciamo, ma la nostra parte interiore, fatta di tutto il nostro vissuto, decide a volte di prendere il controllo, di scegliere in modo indipendente.
Su Forbes, Chris Westfall spiega che dovremmo focalizzare la conversazione persuasiva sulla guida dell’esperienza che conta. Viviamo nell’era dell’informazione, è ovunque, ma è l’esperienza, quella personale, l’unica cosa veramente unica.
Il problema oggi non è conoscere più cose, quello che guida al cambiamento è accedere alle esperienze. È su questo che ci dovremmo concentrare e su cui di dovremmo impegnare.
Considera poi il contesto in cui i numeri sono raccontati, perché è la storia intorno ai numeri che rende i dati rilevanti, significativi, potenti. È il contesto che conquista i contenuti se desideri influenzare e guidare gli altri.
Una percentuale da sola non vuol dire niente, può rappresentare qualcosa di positivo o di negativo, è la narrazione in cui è inserita che fa la differenza.
Questo ci dice quanto importante sia la narrazione, il tanto citato storytelling.
Mi piace la definizione di storytelling che dà lo scrittore Alessandro Baricco:
“Sfilate dalla realtà i fatti e quello che resta è storytelling. Fatti privi di storytelling non esistono, non sono reali. Uno storytelling senza i fatti non è reale, perché è esso stesso un pezzo di realtà”.
È lo stotytelling che rende reali i numeri, le statistiche, i fatti.
Uso un’altra citazione per rafforzare la tesi sull’importanza dell’esperienza:
“Siamo fatti di empatie e di esperienze legate al nostro vissuto. L’esperienza è parte della nostra vita, diventa memoria, parte di me e del mio viaggio. Se la viviamo poi la condividiamo, quindi è un’arma molto potente”.
Sono parole di Mick Odelli, che con le esperienze, reali e virtuali, ci lavora.
Per suscitare un cambiamento, punta quindi sul contesto, sulle esperienze e lo storytelling perchè, come conclude Westfall nel suo articolo, “vincono sui numeri il 100% delle volte“.
Una buona notizia per tutti quelli che scrivono o producono contenuti basati sulla narrazione, uno strumento anche per i leader che vogliono persuadere i collaboratori, i capi o il pubblico.
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