Se digiti una query nella barra di ricerca di Google ci sono buone probabilità che i risultati siano dominati dalla pubblicità.
I successivi aggiornamenti degli algoritmi di ricerca hanno dato sempre più spazio all’advertsing e ai risultati a pagamento, tanto che di fatto non esiste più il famoso ‘primo posto’ nella SERP di Google. Quasi nel 100% dei casi, quel posto sarà occupato da qualcuno che ha pagato Big G per comparire là in cima.
Ha quindi ancora senso parlare di posizionamento organico? Ha ancora senso investire nella produzione di contenuti per rafforzare l’autorevolezza organica e SEO del proprio sito?
Google nacque con l’intento di rendere la vita più facile ai primi “internauti” della rete. Era una rete disordinata, che vedeva la nascente presenza di siti e servizi che lasciavano gli utenti spiazzati: di fatto c’erano tantissime informazioni, ma non si sapeva come trovarle e quali scegliere.
Google voleva essere una bussola in quel grande mare di contenuti. Iniziò come motore di ricerca puro e semplice, in cui bastava inserire una parola per vedere restituiti dei risultati, visualizzati come mero elenco spesso non in linea con l’intento di ricerca dell’utente.
La SEO degli albori si sviluppò in questo contesto. Con un motore di ricerca che restituiva risultati di qualità ancora piuttosto bassa, i Webmaster che volevano procurarsi visite si ingegnavano creando pagine fantasma, pagine piene delle stesse parole chiave o che magari non avevano nemmeno attinenza col contenuto della pagina. Tutto questo solo per generare traffico.
Dopo qualche anno Google cercò di migliorare la qualità dei risultati delle sue ricerche, stimolato probabilmente anche dalla competizione con quello che allora era un effettivo concorrente, cioè Yahoo. L’obiettivo era una maggiore soddisfazione del servizio da parte degli’utenti, che doveva portare a preferire Google agli altri.
Fu allora che a Mountain View decisero di aprire uno zoo: Pinguini, Panda, Colibrì. Sono i nomi di alcuni dei leggendari algoritmi, quelli che hanno perfezionato negli anni sempre di più il cuore di Google e che hanno aiutato a restituire risultati più coerenti con le aspettative dell’utente.
È probabile che fu proprio in quel momento che venne pensata la mission aziendale, quella ufficiale ancora oggi online:
La nostra missione è organizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e utili.
Il paradigma di Google così diventò: contenuti di qualità e autorevolezza della fonte. A questo punto l’attività di chi aveva un proprio sito internet cambiò, focalizzandosi sulla produzione di contenuti di qualità, cioè utili, e sui cosiddetti backlink, cioè collegamenti in entrata da siti esterni che, se autorevoli, concedevano indirettamente parte di questa autorevolezza e miglioravano il posizionamento (cosa che vale ancora oggi).
Cambiano ancora i tempi, siamo ormai vicini ai giorni nostri in cui, simultaneamente, sono avvenute due rivoluzioni. I dispositivi mobili si sono evoluti a tal punto che non si usano più solo per chiamare, ma anche per fare operazioni complesse per le quali prima serviva un computer.
Contemporaneamente sono nate le ricerche vocali, le persone hanno iniziato a usare il microfono del proprio dispositivo per interrogare Google come se fosse un interlocutore reale.
E poi, ultime ma non meno importanti, sono arrivate le tecnologie esponenziali, come l’intelligenza artificiale e il machine learning, applicate anche alle ricerche online.
Google, da motore di ricerca, è diventato un motore di risposte. Ora più che mai, i contenuti non devono solo essere di qualità, ma anche fruibili in modo facile e veloce da mobile. Per questi dispositivi, Google ha addirittura previsto un framework HTML (AMP) per ottimizzare la navigazione Web mobile, con lo scopo di velocizzare il caricamento delle pagine Web.
Ogni giorno un esperto di posizionamento SEO si sveglia e sa che dovrà rincorrere i continui aggiornamenti degli algoritmi di Google per non perdere posizioni nelle ricerche e traffico al sito.
L’ultima novità dalla California prevede una sempre maggiore attenzione all’esperienza di pagina dei siti, misurata secondo alcuni parametri, a discapito della classica SEO.
Sembra una corsa su un percorso dove cambiano le pendenze, ma dove ci sono sempre e solo salite.
Tuttavia, ci sono gli strumenti per riuscire a dominare Google, questo fantastico strumento che sembra quasi perfetto. In parte, li fornisce Google stesso, e sono sia gratuiti (vari strumenti tecnici per la ricerca di query di ricerca, ma anche interi corsi di web marketing) sia a pagamento (le tante opportunità pubblicitarie).
Ricorda però che Google non fa beneficenza e che, essendo uno dei più grandi player pubblicitari al mondo, non fa il tuo interesse, ma il suo. Un esempio? Quando valuti delle parole chiave su cui investire attraverso gli strumenti di Google, tieni conto del fatto che stai facendo una scelta sulla base di quello che ti dice l’oste riguardo al vino che vende, di chi cioè ti sta vendendo la pubblicità. Gli strumenti Google non sono indipendenti.
Google oggi è quasi monopolista nel mercato del Search Engine Advertising, ai concorrenti restano le ‘briciole’, soprattutto in Europa. Ma usare anche strumenti terzi per il SEO è una pratica assolutamente consigliata.
La presenza di pubblicità nella SERP di Google è cambiata negli anni. Prima gli annunci pubblicitari erano 3 in cima alla pagina dei risultati e fino a 5 nella parte destra della SERP; ora gli annunci sono diventati 4nella parte alta della pagina, prima dei risultati di ricerca organici (non a pagamento ma posizionati per l’efficienza dei contenuti e della struttura tecnica del sito), e quattro nella parte bassa dopo il decimo risultato organico.
La tentazione potrebbe essere quella di puntare sulla pubblicità a pagamento, trascurando la produzione di contenuti. I risultati arrivano prima, lo sforzo è inferiore e si paga solo se effettivamente arrivano visite. È la strada più semplice, ma i vantaggi di produrre contenuti in modo continuativo sono consistenti e durano più a lungo nel tempo.
Google, anche nella parte di annunci a pagamento, premia i contenuti di qualità che l’utente trova dopo aver fatto clic:
I contenuti puntano proprio a qualificare i lead procurati al tuo sito in ottica conversione, cioè vendita. Il percorso di acquisto è fatto di passi successivi, a ognuno di questi passi corrisponde un intento di ricerca a cui bisogna saper rispondere con contenuti adeguati e utili a far preferire la tua azienda a un concorrente.
Come proprietario di un sito web devi essere sempre in grado di cavalcare i cambiamenti di Google, uscire da una logica basata solo sulla pubblicità e sulle keyword e creare sempre contenuti di qualità, perché aiutano il posizionamento, e le conversioni, anche quando non sono in corso delle campagne a pagamento.
La formula vincente è un giusto mix tra attività SEO (posizionamento organico), SEA (posizionamento a pagamento) e SEO on-site e on-page.
Se non sei in grado di stare al passo con i cambiamenti di Google e padroneggiare l’argomento, è meglio che ti affidi a un esperto SEO o a un’agenzia specializzata.
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