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_ Ricette per la Disruption nel mondo del food

Non sono ‘facili e veloci’, c’è dietro tanto lavoro, strategia e spirito creativo. Ecco alcuni ‘piatti’ di successo di cui abbiamo parlato nel nostro evento online.

La Disruption è anche, e soprattutto, nel food. Il cambiamento e l’innovazione sono legati a ogni aspetto della vita e del business, compreso il cibo e il business che c’è dietro al mondo dell’alimentazione.

FDO For Disruptors Only ha toccato anche questo argomento, uno dei più cari al nostro paese, un tema che ha reso famoso il nostro stile di vita ‘mediterraneo’ in tutto in mondo.

Introduction to Disruption

Nella sua introduzione alla Disruption, Riccardo Bovetti ha fatto un piccolo excursus sull’evoluzione del nostro rapporto col cibo. Da cacciatori-raccoglitori, siamo passati a essere allevatori e coltivatori, per poi arrivare a un punto in cui il ruolo sociale del mangiane in compagnia, e discutere di questioni anche molto importanti, ha raggiunto un valore molto alto addirittura nella vita politica.

La situazione odierna è quella di una situazione in cui siamo ricevitori-riscaldatori, cuciniamo molto meno, consumiamo per lo più cibi già pronti e sempre più da soli.

Oggi i ricchi mangiano sempre meglio e sempre meno, i poveri sempre di più e sempre peggio.

Il nostro rapporto col cibo è progressivamente più distaccato.

Una nuova ricetta da provare? Fare dei sacrifici per poterci permettere cose più buone, studiare, informarsi e capire di più. Riscoprire il piacere di cucinare e mangiare insieme, per rimettere il fornello al centro delle nostre case.

Dopo l’introduzione, abbiamo cominciato ad analizzare la Disruption nel cibo analizzando il cambiamento e l’innovazione nel settore per quel che riguarda:

  • Tecnologia produttiva
  • Modalità di approvvigionamento
  • Cerimonia di consumo

Ecco alcune testimonianze su questi tre aspetti.

Come fa un ristorante a reinventarsi?

Non è facile sostituire lo stile e l’esperienza. Eppure Andrea Galassi, CFO della catena di ristoranti ‘Miscusi’, ci ha spiegato come ci si può riuscire.

Miscusi nasce dall’idea che portare in giro lo stile di vita mediterraneo renda le persone più felici. Mangiare insieme, e non solo nutrirsi, contribuisce al benessere.

La dieta mediterranea è al centro di questo stile ed è uno dei pochissimi beni immateriali selezionati come patrimonio dell’Unesco.

Miscusi vuole replicare lo stile di vita mediterraneo e d’intrattenersi a tavola, tipico del nostro paese, nei suoi ristoranti, dove questa visione diventa un momento esperienziale.

Questo modello ha avuto un buon successo: 10 ristoranti aperti in tre anni grazie a questi ‘assembramenti’ fatte di vivacità cene cantate e gioia di stare insieme.

Tutto funzionava bene, la crescita progressiva c’era, ma poi è arrivato il Covid e c’è stato bisogno di reagire, di adattarsi alla situazione e, se possibile, ripartire.

Sì, ma come poterlo fare durante una quarantena nazionale? La ricetta di Miscusi è stata fatta con quattro ingredienti:

  1. Protect the people: ristoranti chiusi a tempo indeterminato, in quel momento nessuno sapeva quando si sarebbero riaperte le porte. È stato comunicato all’interno, ai dipendenti, con una lettera ad hoc, e all’esterno, ai clienti, come una risposta positiva, di fiducia e con senso di vicinanza.
  2. Preserve cash: Miscusi è comunque un business che andava salvaguardato. C’erano dei nuovi ristoranti in apertura, ma i cantieri sono stati bloccati per fermare spese inutili alla luce della situazione di insicurezza generale.
  3. Show the purpose: cosa si può fare per la comunità in un momento così difficile? Come poter aiutare e portate del benessere? Con le scorte di magazzino Miscusi ha consegnato più di diecimila pasti negli ospedali e alle persone bisognose.
  4. Embrace the new normal: la gente non poteva più andare a ristorante, quindi? Miscusi ha impacchettato i suoi cibi e li ha proposti in modo diverso, come prodotti da ordinare e da cucinare a casa. Dopo tre settimane, questa nuova bottega di prodotti era online. Ha funzionato e l’offerta è stata allargata a tutta Italia: 300 ordini al giorno, i prodotti Miscusi sono entrati in 10mila case, il 30% del totale degli acquisti sono stati usati per fare regali.

La nuova normalità, ora? Meno gente al ristorante, meno delivery, più attenzione alla salute.

Abbiamo lavorato sui fornitori per aumentare la qualità e abbiamo deciso di introdurre delle nostre botteghe nei ristorati, sul modello di quartiere. Delle vere e proprie esposizioni di gastronomia, per aumentare le occasioni di acquisto”.

C’è più attenzione alla qualità e imeno gente in città per via dello smart working. Le nuove iniziative ci aiuteranno a far fronte anche a questi cambiamenti”.

I prossimi passi? “Per Natale faremo dei gift pack e sbarcheremo oltreconfine, a Berlino e poi Madrid”.

Mulan (Group), la guerriera che unisce a tavola Italia e Cina

La guerriera Mulan è un po’ la Giovanna d’Arco cinese, è realmente esistita. Sì, proprio la Mulan del film della Disney, l’eroina che andò in guerra al posto del padre. E per Giada Zhang, cresciuta in una famiglia con tre figlie femmine, è la figura che rappresenta come non ci sia differenza tra uomo e donna.

Giada è a capo di un business del settore food che rispecchia un po’ la sua personalità di ‘third culture kid’: la cultura cinese dei genitori, quella italiana presa dal paese dove vive la sua famiglia dagli anni ‘90 e la terza che è il mix tra le altre due culture.

Mulan è il nome della linea di cibi prodotti dalla più grande cucina centralizzata d’Italia, che produce piatti di cucina asiatica con ingredienti italiani di qualità. Un ponte tra due realtà, appunto, costruito grazie al cibo, il primo strumento che permette di conoscere la cultura di un altro paese.

Mulan è l’insieme delle parti più belle di Italia e Cina, chef di origine asiatica che usano ingredienti italiani per fare piatti tipici della tradizione cinese.

Quando abbiamo iniziato a far provare i nostri piatti nella grande distribuzione c’era la coda!”.

In poco tempo, Mulan è arrivata in 10 punti vendita della grande distribuzione. Dopo questa validazione della bontà dei piatti, e dell’idea, è stato aperto uno stabilimento e sono stati assunti altri chef.

Poi subito un cambiamento: invece che prodotti di gastronomia, com’erano stati pensati all’inizio, la domanda del pubblico si indirizzava di più su prodotti monoporzione take away. Da peso variabile, quindi, a peso fisso.

Oggi Mulan è in tutta Italia, in ottomila punti vendita.

La quarantena da Covid ha portato a un calo nella GDO, per i cibi pronti, del 60%.

Il nostro tipo di prodotto è un acquisto di impulso, e in quarantena non c’era più questa spinta, si badava all’essenziale” ha raccontato Giada.

In pochi giorni, Mulan ha reagito mettendo online un e-commerce con un’offerta direct to consumer basata su tre box con contenuti verticali. Da poche decine, all’inizio, a centinaia di ordini in tutta Italia e una lezione da imparare: speed over perfection, perché il tempismo in certi casi è troppo importante.

L’altra lezione è venuta dall’analisi: nessun concorrente per i piatti asiatici aveva un e-commerce verticale. Il motivo è che non c’era domanda?

Ci siamo accorti provandoci che la gente non sapeva di volerlo”.

Come Miscusi, anche Mulan si è attivata per la comunità, offrendo dei piatti gratuiti allo staff medico dell’Humanitas durante la quarantena, per gli ospedali di Torino, Milano e Cremona. Molti medici scrivevano ringraziando perché tornavano a casa e trovavano un piatto pronto.

Vedendo il nostro percorso, abbiamo capito che durante le crisi possono nascere le migliori opportunità. È nato un nuovo canale online di business e continueremo a investire”.

Si può fare business anche non face to face: durante il Covid sono nati dei contatti che ora serviranno a internazionalizzare il business di Mulan.

Planet Farms, ortaggi con un altro sapore

Abbiamo oggi una visione romantica dell’agricoltura, ma la tecnologia ha trovato un grande campo di applicazione anche qui.

Tra le aziende che investono in questo ambito, Planet Farms cerca di rispondere in modo concreto ai problemi che affliggono l’agricoltura tradizionale e che purtroppo trovano riposte solo con la chimica.

L’azienda di Luca Travaglini usa la Vertical Farm, cioè un sistema di coltivazione indoor che consente di controllare tutti i parametri fondamentali nella crescita degli ortaggi. L’obiettivo è quello di ottenere il prodotto più naturale possibile.

I vantaggi di questo sistema sono molti. Di solito si coltiva dove ci sono le condizioni economiche e climatiche, con un grosso impatto ambientale sulla consegna del prodotto per via del trasporto. Con le Vertical Farm, invece, si può coltivare ovunque consumando il 97% di acqua in meno perché si consuma solo quella che c’è nella foglia. Assenza totale di pesticidi, prodotto fresco, sano, 365 giorni l’anno.

Agricoltura diversa, con la sostenibilità come concetto preponderante.

L’idea è nata dopo un periodo con dei seri problemi di salute per Luca. Da qui la necessità di cambiare abitudini e pensare a al futuro, “per cercare di lasciare qualcosa ai nostri figli” ha detto.

Luca sta lavorando a uno stabilimento in cui c’è tutta la filiera e un controllo totale sulla coltivazione: entra un seme ed esce un prodotto confezionato. Lo stabilimento di Cavenago sarà in grado di produrre dalle 40 alle 60 mila confezioni di insalata al giorno, con un sistema di tracciabilità e certificazione basto su blockchain, in totale trasparenza perché tutta la produzione avviene nello stesso luogo.

Il prodotto è una bomba!”, ha commentato Luca “possiamo usare i semi di una volta, non trattati. Noi li proteggiamo e alla fine il prodotto ha un gusto pazzesco. Vertical Farm è un sistema concreto, fa bene, ed è sostenibile, in assenza totale di pesticidi”.

Secondo Luca non ha più senso parlare di sostenibilità: “Non è più una novità, non è uno slogan di marketing, dobbiamo parlare di responsabilità. Quello che facciamo va oltre il lavoro, stiamo ottenendo risultati concreti e siamo molto orgogliosi”.

Planet Farms potrà garantire un prodotto a un prezzo fisso tutto l’anno, buono, di qualità e progressivamente sarà in grado di renderlo più accessibile e competitivo.

Il Covid? “C’ha creato problemi soprattutto sulla costruzione dello stabilimento, ma anche opportunità, perché ha rafforzato il desiderio del consumatore e l’attenzione al consumo”.

La giovane Disruptor di My Cooking Box

Chiara Rota, founder di My Cooking Box, è stata inclusa tra le 100 donne di successo dalla rivista Forbes.

My Cooking Box nasce con l’intenzione di far mangiare un buon piatto italiano dedicando del tempo agli altri per cucinarlo. Ecco così un kit con tutti gli ingredienti per realizzare la ricetta di uno chef.

Il percorso è stato da subito molto duro e complicato, ma anche in questo caso ha funzionato il ‘pronto e subito’ a discapito della perfezione.

Quando Chiara a proposto My Cooking Box ai buyer internazionali, la risposta è stata che prima serviva una validazione in ambito nazionale. In Italia però il pubblico sarebbe stato totalmente diverso, perché l’italiano sa cucinare, conosce le ricette e i prodotti, ha una maggiore cultura del cibo.

Chiara ha così deciso di puntare sul modello distributivo, quindi il kit di My Cooking Box è stato collocato là dove il consumatore non è abituato a trovarlo.

Abbiamo puntato su una leva psicologica, sul contrasto: il prodotto dove non te lo aspetti. Il nostro è un modello di business incentrato sull’inaspettato, e poi sul Made in Italy ma più sulla facilità e la rapidità di cucinare” ha commentato Chiara.

Dopo la validazione in Italia, Chiara ha riproposto il suo progetto all’estero. My Cooking Box ora è distribuito in tutta Europa e a inizio 2020 sbarcherà nel difficile mercato degli Stati Uniti.

Il kit si presta molto bene al regalo e funziona come aggancio per far poi tornare a comprare chi l’ha ricevuto e provato”.

Il Covid ha minato anche il budget disponibile di questo business, però l’idea ha funzionato anche durante la quarantena. È piaciuta la possibilità di mangiare e cucinare insieme, la convivialità, anche a distanza. Il kit aiuta a godersi momenti davanti a un buon piatto.

I nostri consumatori hanno ritmi frenetici, ma sono attenti al prodotto alimentare e magari nel fine settimana vogliono fare bella figura e cucinare qualcosa di buono e gourmet, così usano il nostro kit”.

Difficile identificare un comportamento dell’utente così diversificato, gli utenti sono diversi in base all’occasione di consumo che stanno vivendo”.

Cosa ci siamo portati a casa

Chiara Bacilieri ha più volte stimolato i Disruptor e ha sottolineato come nelle loro idee non ci sono modi diversi di fare le cose, ma anche modi diversi di pensare e questa è la base del cambiamento.

Chiara ha stressato il concetto del ‘cosa c’è dietro’, di capire il perché le persone fanno certe scelte, qual è il problema che vogliono risolvere e soprattutto chi vogliono diventare, chi stanno cercando di essere attraverso un prodotto, anche nuovo, abbracciando un cambiamento.

L’innovazione è un modo di vedere il mondo, di vedere le persone come sono oggi e come invece saranno in futuro e di dargli oggi quello che crediamo vorranno essere domani”.

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