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_ Smart working e Covid-19: la crisi apre al futuro?

Lavoro agile e telelavoro: una volta passata la pandemia, non sarà più forte la voglia di tornare in ufficio?

A chiunque abbia bisogno di ottenere consenso e gradimento, se qualcosa non funziona e va storto, la scusa più semplice sembra sempre questa:

Con il diffondersi del Coronavirus, per cercare di contenere le probabilità di contagio e per la salute dei propri dipendenti, le aziende italiane, dietro consiglio e sollecitazione del Governo, si sono mobilitate e impegnate ad attivare dei sistemi di smart working, in Italia “lavoro agile”.

Il decreto n.6 del 23 febbraio 2020 emesso dal Governo, ha infatti previsto “la sospensione delle attività lavorative per le imprese, ad esclusione di quelle che erogano servizi essenziali, di pubblica utilità e di quelle che possono essere svolte in modalità domiciliare ossia dalla propria abitazione”.

La conseguenza è stata che molte realtà imprenditoriali hanno dovuto ripensare e riorganizzare il proprio assetto lavorativo adottando lo smart working come modello di lavoro. Tutto questo ha coinvolto circa 8,3 milioni di lavoratori.

In questi giorni i mass media hanno spesso parlato di smart working affiancandolo più volte al termine “telelavoro”. Ma smart working e telelavoro non sono sinonimi!

Esiste una vera e propria definizione di lavoro agile o smart working, data dal Ministero del Lavoro nel 2017:

“Il lavoro agile è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”.

Si parla di una tipologia di lavoro priva di vincoli che permette di lavorare ovunque, in qualsiasi luogo ci si trovi, anche da casa, senza una postazione fissa.

Anche gli orari sono flessibili e permettono di gestire il lavoro in autonomia, nel rispetto delle scadenze lavorative. È un’ottima soluzione per chi ha problemi nel raggiungere il luogo di lavoro o a seguire orari fissi, come può accadere, ad esempio, ai neo-genitori.

Non significa però che il dipendente in lavoro agile non abbia degli obblighi nei confronti dell’azienda. Deve infatti garantire la sua reperibilità e una tabella di marcia, condivisa con i suoi colleghi.

Nel telelavoro, invece, il lavoratore dipendente svolge la sua prestazione di lavoro non in un luogo qualunque esterno ai locali aziendali, ma in una postazione di lavoro esplicitamente definita nel contratto di assunzione (tipicamente da casa) e dotato di tutti gli strumenti necessari per lo svolgimento della prestazione (personal computer, tablet, ecc.). Gli orari di lavoro sono definiti nello stesso contratto e non possono essere modificati unilateralmente dal lavoratore. Infine, è previsto di norma un solo rientro a settimana nel posto di lavoro tradizionale.

Verso che forma di lavoro stiamo andando?

Comprendere la differenza tra smart working e telelavoro serve a capire se l’Italia si stia effettivamente muovendo verso lo smart working o se ciò che stiamo vivendo è soprattutto una forma diffusa di telelavoro.

Spesso, infatti, si tende a parlare impropriamente di smart working, privandolo della sua componente principale “smart” (lavorare senza nessun vincolo di spazio e di tempo) riducendolo al semplice “lavoro da casa”.

L’attuale emergenza sanitaria ha trasformato l’Italia in un paese connesso digitalmente. Adesso gran parte delle attività si svolgono a distanza, a partire da quelle lavorative fino ad arrivare alle lezioni scolastiche e universitarie.

Assistiamo a parrocchie che celebrano la messa in diretta su Instagram, a palestre che organizzano sessioni di training online, a enti di formazione che aprono gratuitamente l’accesso ai loro contenuti.

Queste sono tutte risposte di un paese che non si arrende di fronte al difficile momento storico che sta vivendo e che ritrova nella tecnologia lo strumento più efficace per affrontare l’isolamento forzato. E questo panorama si sta riflettendo anche sull’organizzazione del lavoro.

Se le imprese che seguono modelli di business decentrati hanno avuto meno difficoltà ad applicare o semplicemente a estendere lo smart working, così non è stato per le molte aziende figlie di una cultura organizzativa fondata sul presenzialismo. In linea generale, le aziende e le persone si sono dovute velocemente riorganizzare di fronte all’emergenza Coronavirus correndo il rischio di trovarsi impreparate a implementare e gestire in modo corretto lo smart working. Attivare un progetto di smart working richiede del tempo, mentre la situazione attuale ha obbligato persone e imprese a fare propri gli strumenti del lavoro agile nel modo più rapido.

La crisi apre al futuro?

Tutti gli addetti ai lavori sono convinti che, terminata l’emergenza, il numero dei lavoratori agili si attesterà su una cifra ben più alta di quella censita nell’ultimo autunno. Ma dopo settimane di distanza dai colleghi e con tutte le difficoltà del lavoro da casa, in un momento in cui sono chiuse le scuole e non sono possibili gli spostamenti, è probabile che molti vorranno tornare alla concretezza dei rapporti umani, della pausa caffè, della riunione organizzata al volo, relegando, erroneamente, il lavoro agile in una parentesi drammatica della propria esperienza.

Seby Fortugno

Seby Fortugno