Quando si pensa a un leader solitamente vengono in mente nomi celebri, persone a capo di una nazione, leader che hanno cambiato la storia con carisma e grande potere. Politici e sportivi, inventori e filosofi. Quasi mai si pensa a persone vicine alla vita quotidiana come un nostro familiare o il datore di lavoro.
E, a meno che tu non sia una persona piuttosto egocentrica, scommetto che tantomeno pensi che potresti esserlo tu.
Invece è proprio qui che ti sbagli. Tu sei un leader, o potresti presto esserlo. Leader infatti non si nasce, lo si diventa.
Nancy Cooklin lavora nel campo della formazione, del coaching e del counseling e per professione fa proprio questo: aiuta a far emergere il leader che c’è in ognuno di noi. Abbiamo chiacchierato con lei e Maria Beatrice Benvenuti qualche settimana fa su Clubhouse.
Come detto poco fa il leader non nasce tale, ma sono le esperienze vissute, l’ambiente in cui cresce, le occasioni che gli capitano, la storia familiare e culturale che lo forgiano e gli forniscono l’opportunità di diventarlo.
Per essere quella persona da prendere come punto di riferimento, quindi dobbiamo partire dalla consapevolezza: su chi siamo, su dove vogliamo arrivare e sul perché lo stiamo facendo. Un buon leader, quindi, lo è prima per se stesso e soltanto dopo può diventarlo per gli altri. Alla base deve avere una buona dose di intelligenza emotiva, ossia quella capacità di comprendere e gestire le proprie emozioni e di ascoltare e immedesimarsi in quelle degli altri.
Dobbiamo capire che prima di essere leader, cioè una guida in grado di condurre e accompagnare gli altri, siamo umani, e in quanto tali dobbiamo riconoscere i nostri limiti. Essere un leader non significa essere imbattibili o invincibili, ma al contrario bisogna rendersi conto e accettare la nostra vulnerabilità.
Chiedere aiuto, ad esempio è spesso visto come una debolezza, ma avere il coraggio di farlo è segno di maturità e consapevolezza.
Avere dei momenti di crisi o in cui non tutto va come sperato è del normale e, come si suol dire, capita anche ai migliori. Un fallimento, pertanto, non deve essere visto come una sconfitta totale, ma anzi va preso come una fase di passaggio e da cui si possono ricavare degli insegnamenti utili per raggiungere il traguardo.
Il leader è spesso considerato come quella persona sicura di sé, carismatica, coerente con se stessa e che sa andare dritto verso il proprio obiettivo.
È colui che tiene sempre presente il perché delle azioni, ma sa anche ricredersi, cambiare opinioni e tornare sui propri passi in base alla situazione e alle contingenze.
Tutto ciò lo fa senza dimenticarsi, anzi mettendo al primo posto, il valore umano e la forza che si può scatenare dalle relazioni tra individui.
Guardando alla situazione attuale quindi chi può essere considerato un leader? Oggi più che mai un leader non è un capo, una persona al potere che impartisce regole, o che guida una grande massa di persone, ma è colui che include, che si fa portavoce delle minoranze, che presta attenzione ai valori, che si evolve in una direzione sempre più umana per il bene dell’umanità.
Molte sono le domande dei giovani che hanno da poco finito la carriera da studenti e stanno per addentrarsi in quella lavorativa: quali competenze sono fondamentali per iniziare? È necessario sviluppare delle abilità oltre a quelle che mi fornisce la scuola per arrivare preparato? Sono più importanti le competenze tecniche, quelle digitali o le cosiddette “soft skills”? Cosa cercano le aziende da una persona che si sta per approcciare al mondo del lavoro?
Il dibattito intitolato “Quali skills per il futuro – le competenze per il lavoro di domani” che si è svolto durante lo scorso convegno organizzato dal Salone del Lavoro e delle Professioni potrebbe rispondere a molti dubbi.
Gli ospiti presenti all’incontro ricoprono ruoli diversi all’interno delle aziende e, per questo, ci hanno fornito punti di vista derivanti da vari contesti e ambiti lavorativi.
Come assunto di base bisogna comprendere che il mondo del lavoro è diverso dalla scuola: il metro di paragone sui banchi è il voto, nelle aziende invece contano certamente le conoscenze teoriche, ma devono essere affiancate e supportate dalle abilità sviluppate sul campo. E con “sul campo” non si intende solamente da quando si entra nell’ambito lavorativo, ma già da prima, da ciò che si apprende con le esperienze di vita come viaggi culturali, ambienti sportivi e rapporti relazionali.
Quindi insieme alle hard skills, quelle abilità tecniche e più facilmente valutabili, sono essenziali le soft skills, cioè tutte quelle competenze che derivano dal proprio vissuto, apprese in diversi contesti e che fanno parte della nostra personalità. Tali competenze vengono definite trasversali proprio perché riguardano il nostro modo di agire, il nostro sapere essere come individuo e anche il nostro saper diventare in contesti nuovi.
È fondamentale quindi imparare, disimparare e reimparare di nuovo. È un continuo processo di upskilling e reskilling, ossia di incrementare le nostre competenze e di svilupparne di nuove.
Tra le soft skills più conosciute ci sono: problem solving, pensiero critico, intelligenza emotiva, decision making, proattività. Ma in quest’epoca in cui, soprattutto a causa della tecnologia, il mondo si evolve ad una velocità estrema, è essenziale anche sapersi plasmare a seconda dei cambiamenti che si presentano davanti al percorso. Per fare ciò è dunque basilare puntare anche sull’adattabilità e sulla flessibilità oltre che sulla propria creatività e intuizione.
Come quanto detto poco sopra, viviamo in un’epoca in cui tutto cambia alla velocità della luce. Puntare sulla learning agility potrebbe essere una strategia vincente. La learning agility, è la capacità di saper apprendere e cambiare, ma soprattutto farlo in modo continuo e flessibile e rapido.
Bisogna perciò essere in grado di cogliere l’opportunità di formarsi non solo tramite il classico percorso di studi, ma anche in contesti meno convenzionali, ad esempio attraverso corsi online e digitali, post-diploma e post-laurea o anche corsi attivati dall’azienda.
Alcune tra le più importanti soft skills si potenziano e si migliorano a partire dal rapporto con gli altri. Un contributo essenziale, quindi, è dato dalla cerchia di persone che si frequentano con cui interagiamo.
Skills come capacità di lavorare in gruppo e di leadership, empatia, intelligenza emotiva e capacità di mettersi in discussione si sviluppano proprio grazie alla forza di relazionarsi con una community o un team di persone. Tali situazioni insegnano esattamente come si possa imparare non soltanto in contesti puramente formativi.
È importante dunque coltivare e impegnarsi in passioni che prescindono dallo studio e dalle nozioni apprese a scuola.
Può capitare infatti che possiamo trarre alcuni grandi insegnamenti da occasioni non convenzionali. Durante il nostro percorso di vita infatti possono accadere degli “imprevisti”, cioè di trovarsi in delle situazioni inaspettate, da cui però possiamo imparare e ricavarne dei vantaggi. Dobbiamo quindi essere bravi a sfruttare ogni opportunità per apprendere e crescere.
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