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Come vivere in pace e in armonia con un copywriter

Poche e semplici regole da seguire in agenzia, più un bonus

Il copywriter è una brutta bestia, me lo dico da sola.

Solitamente introverso ai limiti della misantropia — o estroverso in pieno spirito Milano-da-bere, ma son rari — il copywriter vive nella convinzione di essere un genio incompreso e condivide questa certezza con l’art director, con il quale mette in piedi una relazione fatta alternativamente di litigate e pacche sulle spalle accompagnate da frasi tipo “Sei meglio tu” “No, ma che dici, tu sei più creativo”.

Le altre figure d’agenzia si tengono opportunamente alla larga da questa coppia, e fanno bene. Ti consiglio di fare altrettanto, ma lascio qui sotto qualche consiglio per tenerti buono “il copy” per quella volta che ti servirà il payoff per una bevanda energizzante o un biglietto per la tua migliore amica che si sposa.

Regola 1 – Un testo al volo

Ci sono poche cose che fanno saltare i nervi al copy più della frase “Fammi un testo al volo”.

Un testo non si fa al volo: per il copywriter le parole vanno scelte, accarezzate, messe una accanto all’altra per vedere se stanno bene assieme. Sì, anche quando bisogna rispondere a un commento su Facebook o quando bisogna scrivere il microcopy di un pop up. Testo corto non significa testo facile.

Prova con la formula “Mi servirebbe un testo breve ed efficace, puoi aiutarmi?”. Il copy verrà toccato nel suo punto più debole, la vanità, e non potrà dirti di no (se sei il capo non può dirti di no in ogni caso, ma comunque).

Regola 2 – Via dai luoghi comuni

Questa regola non è utile solo ad evitare conflitti con il copy, ma serve ad analizzare con occhio critico i testi di un cliente o di un competitor.

La regola dice: un luogo comune è un luogo abusato e va evitato.

Questo significa che no, non possiamo scrivere che il cliente X è leader del settore (quale settore? Quale leader? Possibile che le aziende dello stesso settore siano tutte leader?) e nemmeno che i servizi che il cliente Y fornisce sono a 360° (cos’è, un goniometro?).

Non lo possiamo scrivere e nemmeno lo vogliamo scrivere perché i luoghi comuni sono deprimenti, vuoti e non raccontano davvero ciò che il cliente fa e ciò in cui crede.

Non solo: se proponiamo al cliente la classica About page di leader del settore a 360°, il tempo di permanenza sulla pagina degli utenti sarà bassissimo e non saremo riusciti a farci notare dal lettore.

Qui c’è un elenco di espressioni che un copywriter nel 2020 non può più usare. Se lo fa, spezzagli le matite (le dita non si può).

  • L’evento si è tenuto nella splendida cornice — A parte che “si è tenuto” si usava nei giornali locali degli anni Novanta (lo so perché ci ho lavorato e già allora pareva abusato), ma concentriamoci sulla splendida cornice. Se il testo è scritto per esaltare la location, lo fa male perché la relega al semplice ruolo di cornice; se il testo è scritto invece per parlare dell’evento, non serve usare espressioni vuote e ritrite per allungarlo. Tagliare.
  • Fin dalla più tenera età— Indica l’età precisa, non stare sul vago.
  • Esperienza ventennale/trentennale/pluriennale — Da quanti anni fai questo lavoro non mi è di nessun aiuto anche perché potresti lavorare male “da tre generazioni”, altra espressione da evitare.
  • Il nostro team è professionale e competente — Ma dai? Pensavo assumessi gente a caso.
  • Seguiamo il cliente in ogni fase del progetto — E ci mancherebbe pure.
  • Le nostre tecnologie sono di ultima generazione — Se lo sono davvero, spiegati meglio. Se non lo sono, lascia perdere ed evita una brutta figura.
  • Siamo un’azienda giovane e dinamica — Certo, è proprio così che parlano i giovani, infatti.
  • Connubio tra tradizione e innovazione — IL MALE ASSOLUTO.

Regola 3 – La. Punteggiatura.

Che i refusi o gli errori ortografici facciano andare in bestia i copywriter, si sa. Una certa indulgenza serve sempre, però: un rfuso capita a tutti 🙂

Se c’è una cosa che invece un copy non riesce a perdonare è l’abuso di punteggiatura.

I puntini di sospensione sono sempre e solo tre, possono essere usati al massimo una volta in un testo mediamente lungo quindi non spargerli come manciate di semi ai piccioni di piazza San Marco. I punti esclamativi e interrogativi vanno usati uno alla volta e mai assieme (unica eccezione possibile ammessa: “Ma veramente sono finiti i Twix nelle macchinette?!” perché il dolore é dolore e va enfatizzato).

Mai terminare le frasi con due o tre punti esclamativi di seguito, innanzitutto perché l’entusiasmo è fastidioso e poi perché non si fa, è scorretto e basta. Mi spingo oltre: meglio usare poco anche i punti esclamativi singoli, fanno effetto televendita di basso livello.

Ah, ti presento anche il punto e virgola ; può essere usato, non morde.

Bonus

Infine, per tutti. Se dovete parlare con noi, non fateci una call: fateci una telefonata 🙂

Una ‘Brand New Fashion’ e la tecnologia che va di moda

SingularityU Legnano ha parlato di fashion dall’interno, dando voce a chi sta innovando direttamente dalle proprie aziende.

Il futuro del settore Fashion e Design è tutto da ridisegnare, e non solo a causa del lockdown. Sostenibilità, riuso, nuovi materiali e nuovi processi di ridistribuzione. Una nuova consapevolezza, anche, nei confronti del bello. La ’fast fashion può essere ancora la risposta alla forzata bulimia di consumo? Esiste un modo per traghettare la moda nell’epoca post-Covid19?

Ne abbiamo parlato nella Mission Three del Legnano Chapter di Singularity University, con imprenditori che operano nel settore. Storie di aziende e persone che hanno già da tempo abbracciato l’innovazione tecnologia per affrontare i cambiamenti del mercato e della società e guardare con ottimismo al futuro.

I consumi e il settore moda oggi

Anche il mondo del fashion è stato colpito duro dal Covid-19. Lo ha spiegato Erika Andreetta, Consumer Markets Consulting Leader di PwC Italy: sui consumi c’è stata una diminuzione del 30% nel mondo. Prima della pandemia ci si aspettava di spendere di più rispetto all’anno precedente, ma in Italia il lockdown è stato più lungo del previsto e l’incertezza sulla stabilità del posto di lavoro ha bloccato la fiducia. Il Covid ha avuto un impatto sui consumi ma anche sulla filiera del tessile e del calzaturiero. Ora il settore è in ripresa.

Il consumatore ha cambiato le modalità di acquisto”.

Erika Andreetta (PwC Italy)

Con la diminuzione del reddito del 57% è diminuita anche la spesa per i consumi, con una previsione di -45%. È aumentata la home delivery, ma non si riescono comunque a coprire i volumi persi.

In periodo Covid è aumentato l’ordine online di generi alimentari, soprattutto le categorie base come farina uova e pasta ed è diminuita la vendita di piatti pronti, evidenza di un cambio delle abitudini. L’acquisto di calzature, abbigliamento e prodotti del beauty ha fatto registrare un meno 70%.

La filiera tessile ha avuto una riconversione solidale alla produzione di mascherine e camici, a supporto di ospedali e comunità locali. L’aspetto solidale è quello della collaborazione tra aziende competitor, che per i due mesi della quarantena si sono scambiate informazioni per la produzione in favore di chi era in prima linea contro il coronavirus.

Da sottolineare che la riconversione delle linee di produzione di molte di queste aziende è avvenuta per donare il materiale agli ospedali, rifiutando la cassa integrazione e pagando i propri dipendenti.

C’è un ritorno della tecnologia. Quello che poteva sembrare un uso solo per giovani, sta diventando necessario per tutti”.

Erika Andreetta (PwC Italy)

Gli strumenti digitali rendono più democratica la moda anche i più giovani e meno conosciuti riescono a farsi conoscere. Dobbiamo sfruttare i benefici che la tecnologia offre.

Un tessuto di nuova concezione che costa più dell’oro

Francesco Lazzati si occupa di Business development per Technow, azienda di famiglia del settore tessile, innovativa, che si occupa anche di tessitura, tintoria, resinatura, laminatura… Passaggi importanti per la qualità del prodotto.

Dal punto di vista della tecnologia, anche questo settore si è evoluto. Prima i cosiddetti ‘salti tecnologici’ erano diluiti nel tempo, ora l’innovazione è ogni sei mesi.

Per questo in Technow hanno deciso di non aspettare più le richieste dei clienti per far partire la ricerca e sviluppo (R&D), tutto parte dall’iniziativa interna.

Francesco Lazzati (Technow)

Un esempio concreto è il tessuto idrorepellente senza sostanze nocive o l’uso del grafene, un materiale di recente scoperta che consente di arricchire le proprietà di un prodotto: antibatterico, antistatico, conduttività termica.

La parte difficile nell’introdurre una novità come questa, il grafene, in azienda, è stata identificare un processo che riuscisse a mantenere le qualità del materiale anche quando magari è sottoposto a stress, per bilanciasse le sue performance ma anche che contesse i costi (il grafene costa infatti più dell’oro), per non andare fuori mercato.

Dopo un anno di tentativi e fallimenti, Technow sta iniziando a impiegare il grafene nell’abbigliamento di lusso.

Il valore del design e del brand

Stefano Aschieri è co-founder con il fratello di Wood’d, brand di oggettistica per la tecnologia. L’idea nasce dall’azienda di famiglia che lavora il legno e produce stuzzicadenti, appendini e oggetti per la grande distribuzione.

Con Wood’d, Stefano e il fratello riescono a distinguersi con qualcosa di diverso, puntando sulla qualità del prodotto e sul target degli oggetti di lusso.

Nel 2013 producono la prima cover per iPhone in legno, un prodotto Made in Italy dal prezzo elevato (40/50 euro) rispetto alle altre presenti sul mercato e questo li ha posizionati su un target alto spendente. Lo stesso anno, con Pitti Immagine inizia la loro avventura e ora le principali aziende del fashion sono loro clienti.

Stefano definisce il brand Wood’d un utility premium, cioè qualcosa che vale poco ma che grazie al design e al brand cresce, grazie anche alle tante collaborazioni con artisti che danno importanza alla loro community.

Lavorando molto con la Cina, anche per loro l’impatto negativo del Covid-19 si è fatto sentire.

Chi fa accelerare le start-up

Nazzareno Mengoni è il co-founder di Startupbootcamp, azienda che aiuta le start-up a crescere e affermarsi. Il 75% delle start-up che si affidano all’azienda riesce a sopravvivere, ed è interessante notare come il 42% delle start-up abbia una fondatrice donna.

Il programma di Startupbootcamp prevede una prima fase di scouting, poi una call con mille start-up che si propongono tra cui ne vengono scelte 250, infine le migliori 30 vengono invitate nella sede fisica e solo le migliori 10 possono partecipare al programma di accelerazione.

Le migliori imprese emergenti di solito sono quelle B2B”.

Nazzareno Mengoni ( Startupbootcamp)

Per costruire l’ecosistema per far crescere le start-up, Startupbootcamp si occupa di:

  • analisi del mercato
  • omnichannel e retail
  • sostenibilità come modello di business

Tra i partner dell’azienda ci sono Intel, Rabobank, Eneco e Lloyd Banking Group.

Trasformazione digitale anche per le fiere

Marco Carniello (Group Brand Director Jewellery & Fashion di Vicenzaoro) ha parlato di come col Covid “o ti evolvi o muori”.

Le fiere, ad esempio, si stanno integrando alla parte digitale, la parte fisica beneficia della simmetria informativa. La fiera è un momento di ispirazione, è una piattaforma che serve alla community. La commistione col digitale può fare in modo che le fiere diventino momenti di intervalli fisici trasmessi digitalmente tutto l’anno.

Marco è impegnato anche su Origin, fiera che nasce nel 2014 per dare voce alla parte della filiera concentrata sulla moda.

Capita di incontrare aziende che sono production driven, che magari sono piccole e non si sanno vendere bene”.

Marco Carniello (Italian Exhibition Group)

Le piccole e medie aziende di moda del Made in Italy possono presentare le proprie competenze ed essere seguite in un cammino di crescita.

Una delle fiere più conosciute, come Vicenzaoro, invece, ha un approccio nuovo, un nuovo modo di intendere il mercato. Uno degli aspetti più importanti di questa esposizione è proprio la sostenibilità.

Supportano i brand nel loro percorso di sostenibilità

Serena Moro è Head of Sustainability di Cikis, azienda nata nel settembre del 2019 e che si occupa di sostenibilità delle aziende di moda e di creare fiducia nei confronti di consumatori e clienti.

Serena ha raccontato di come i brand chiedano sempre di più di migliorare la qualità dei materiali. Cikis aiuta le aziende a trovare questi materiali, più sostenibili.

Quando si compra un materiale si compra tutta la filiera, così come il suo impatto energetico”.

Serena Moro (Cikis)

Cikis aiuta a implementare la tracciabilità di tutta la filiera, aiutando a conoscere gli altri fornitori che la compongono.

The Zen agency è sponsor di SingularityU Legnano Chapter: crediamo nella tecnologia esponenziale come strumento per la crescita del benessere delle persone. Agiamo in un contesto locale, ma parliamo di temi di interesse globale e formiamo comunità di pensatori che guardano al futuro, spinti dalla passione e dalla volontà di fare. Gli eventi che organizziamo riuniscono le persone per avere un impatto positivo, necessario per superare le grandi sfide dell’umanità.

Unisciti a noi! Partecipa ai nostri eventi, diventa un volontario o un relatore. Contattaci, ti aspettiamo.

Primi nella Serp: contenuti o campagne a pagamento?

Se digiti una query nella barra di ricerca di Google ci sono buone probabilità che i risultati siano dominati dalla pubblicità.

I successivi aggiornamenti degli algoritmi di ricerca hanno dato sempre più spazio all’advertsing e ai risultati a pagamento, tanto che di fatto non esiste più il famoso ‘primo posto’ nella SERP di Google. Quasi nel 100% dei casi, quel posto sarà occupato da qualcuno che ha pagato Big G per comparire là in cima.

Ha quindi ancora senso parlare di posizionamento organico? Ha ancora senso investire nella produzione di contenuti per rafforzare l’autorevolezza organica e SEO del proprio sito?

In principio fu una bussola

Google nacque con l’intento di rendere la vita più facile ai primi “internauti” della rete. Era una rete disordinata, che vedeva la nascente presenza di siti e servizi che lasciavano gli utenti spiazzati: di fatto c’erano tantissime informazioni, ma non si sapeva come trovarle e quali scegliere.

Google voleva essere una bussola in quel grande mare di contenuti. Iniziò come motore di ricerca puro e semplice, in cui bastava inserire una parola per vedere restituiti dei risultati, visualizzati come mero elenco spesso non in linea con l’intento di ricerca dell’utente.

La SEO degli albori si sviluppò in questo contesto. Con un motore di ricerca che restituiva risultati di qualità ancora piuttosto bassa, i Webmaster che volevano procurarsi visite si ingegnavano creando pagine fantasma, pagine piene delle stesse parole chiave o che magari non avevano nemmeno attinenza col contenuto della pagina. Tutto questo solo per generare traffico.

I primi risultati di qualità

Dopo qualche anno Google cercò di migliorare la qualità dei risultati delle sue ricerche, stimolato probabilmente anche dalla competizione con quello che allora era un effettivo concorrente, cioè Yahoo. L’obiettivo era una maggiore soddisfazione del servizio da parte degli’utenti, che doveva portare a preferire Google agli altri.

Fu allora che a Mountain View decisero di aprire uno zoo: Pinguini, Panda, Colibrì. Sono i nomi di alcuni dei leggendari algoritmi, quelli che hanno perfezionato negli anni sempre di più il cuore di Google e che hanno aiutato a restituire risultati più coerenti con le aspettative dell’utente.

È probabile che fu proprio in quel momento che venne pensata la mission aziendale, quella ufficiale ancora oggi online:

La nostra missione è organizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e utili.

Il paradigma di Google così diventò: contenuti di qualità e autorevolezza della fonte. A questo punto l’attività di chi aveva un proprio sito internet cambiò, focalizzandosi sulla produzione di contenuti di qualità, cioè utili, e sui cosiddetti backlink, cioè collegamenti in entrata da siti esterni che, se autorevoli, concedevano indirettamente parte di questa autorevolezza e miglioravano il posizionamento (cosa che vale ancora oggi).

Smartphone, ricerche vocali e tecnologie esponenziali

Cambiano ancora i tempi, siamo ormai vicini ai giorni nostri in cui, simultaneamente, sono avvenute due rivoluzioni. I dispositivi mobili si sono evoluti a tal punto che non si usano più solo per chiamare, ma anche per fare operazioni complesse per le quali prima serviva un computer.

Contemporaneamente sono nate le ricerche vocali, le persone hanno iniziato a usare il microfono del proprio dispositivo per interrogare Google come se fosse un interlocutore reale.

E poi, ultime ma non meno importanti, sono arrivate le tecnologie esponenziali, come l’intelligenza artificiale e il machine learning, applicate anche alle ricerche online.

Google, da motore di ricerca, è diventato un motore di risposte. Ora più che mai, i contenuti non devono solo essere di qualità, ma anche fruibili in modo facile e veloce da mobile. Per questi dispositivi, Google ha addirittura previsto un framework HTML (AMP) per ottimizzare la navigazione Web mobile, con lo scopo di velocizzare il caricamento delle pagine Web.

E la corsa continua

Ogni giorno un esperto di posizionamento SEO si sveglia e sa che dovrà rincorrere i continui aggiornamenti degli algoritmi di Google per non perdere posizioni nelle ricerche e traffico al sito.

L’ultima novità dalla California prevede una sempre maggiore attenzione all’esperienza di pagina dei siti, misurata secondo alcuni parametri, a discapito della classica SEO.

Sembra una corsa su un percorso dove cambiano le pendenze, ma dove ci sono sempre e solo salite.

Tuttavia, ci sono gli strumenti per riuscire a dominare Google, questo fantastico strumento che sembra quasi perfetto. In parte, li fornisce Google stesso, e sono sia gratuiti (vari strumenti tecnici per la ricerca di query di ricerca, ma anche interi corsi di web marketing) sia a pagamento (le tante opportunità pubblicitarie).

Ricorda però che Google non fa beneficenza e che, essendo uno dei più grandi player pubblicitari al mondo, non fa il tuo interesse, ma il suo. Un esempio? Quando valuti delle parole chiave su cui investire attraverso gli strumenti di Google, tieni conto del fatto che stai facendo una scelta sulla base di quello che ti dice l’oste riguardo al vino che vende, di chi cioè ti sta vendendo la pubblicità. Gli strumenti Google non sono indipendenti.

Google oggi è quasi monopolista nel mercato del Search Engine Advertising, ai concorrenti restano le ‘briciole’, soprattutto in Europa. Ma usare anche strumenti terzi per il SEO è una pratica assolutamente consigliata.

Posizionarsi coi contenuti? Difficile, ma…

La presenza di pubblicità nella SERP di Google è cambiata negli anni. Prima gli annunci pubblicitari erano 3 in cima alla pagina dei risultati e fino a 5 nella parte destra della SERP; ora gli annunci sono diventati 4nella parte alta della pagina, prima dei risultati di ricerca organici (non a pagamento ma posizionati per l’efficienza dei contenuti e della struttura tecnica del sito), e quattro nella parte bassa dopo il decimo risultato organico.

La tentazione potrebbe essere quella di puntare sulla pubblicità a pagamento, trascurando la produzione di contenuti. I risultati arrivano prima, lo sforzo è inferiore e si paga solo se effettivamente arrivano visite. È la strada più semplice, ma i vantaggi di produrre contenuti in modo continuativo sono consistenti e durano più a lungo nel tempo.

Google, anche nella parte di annunci a pagamento, premia i contenuti di qualità che l’utente trova dopo aver fatto clic:

  • con una migliore posizionamento degli annunci a pagamento rispetto ai concorrenti
  • con costi per clic inferiori (le visite quindi costano meno)…
  • … e, di conseguenza, portando più traffico qualificato.

I contenuti puntano proprio a qualificare i lead procurati al tuo sito in ottica conversione, cioè vendita. Il percorso di acquisto è fatto di passi successivi, a ognuno di questi passi corrisponde un intento di ricerca a cui bisogna saper rispondere con contenuti adeguati e utili a far preferire la tua azienda a un concorrente.

Pagare può non essere abbastanza

Come proprietario di un sito web devi essere sempre in grado di cavalcare i cambiamenti di Google, uscire da una logica basata solo sulla pubblicità e sulle keyword e creare sempre contenuti di qualità, perché aiutano il posizionamento, e le conversioni, anche quando non sono in corso delle campagne a pagamento.

La formula vincente è un giusto mix tra attività SEO (posizionamento organico), SEA (posizionamento a pagamento) e SEO on-site e on-page.

Se non sei in grado di stare al passo con i cambiamenti di Google e padroneggiare l’argomento, è meglio che ti affidi a un esperto SEO o a un’agenzia specializzata.

Digital marketing: lavorare con un’agenzia non è per tutti

Hai preso coscienza che non ce la fai da solo, il digital marketing è troppo complesso e la tua azienda ha bisogno di una mano. È giunto il momento di ingaggiare un’agenzia. Sì, ma quale?

Sito web, blog, social media, newsletter, seo, web marketing, ecc. Potresti formare qualcuno internamente, ma di quante competenze avresti bisogno per avere un team interno all’azienda che si occupi di tutte queste cose in modo efficiente ed efficace?

Hai deciso così di cercare un’agenzia che si occupi, se non ti tutto, almeno di alcune di questi aspetti del tuo marketing online. Ma là fuori è pieno di guru, influencer e creator e tu non sai chi e come scegliere.

Cosa ti serve?

Può sembrare una domanda banale, ma ti aiuta a fare ordine e a presentarti nella giungla dei guru, influencer e creator con l’idee più chiare.

Vuoi aumentare il traffico del tuo sito? Ti serve un esperto SEO. Vuoi aumentare le conversioni sul sito eCommerce? Allora devi cercare uno specialista in UX per negozi online. Ti serve un sito nuovo o un sito ancora non ce l’hai? Hai bisogno di progetto di web design e quindi anche di grafica e project management, oltre di un programmatore.

Cosa vuoi?

Quale dev’essere il risultato finale del lavoro dell’agenzia? Vuoi avere un blog aziendale totalmente gestito da altri senza che pesi così sul tsuo lavoro di tutti i giorni? Vuoi una serie di video da usare per la tua comunicazione aziendale?

Le risposte a queste domande servono a razionalizzare e semplicare la richiesta di consulenza che stai cercando e fare già una selezione. Così è tutto chiaro fin dall’inizio: bisogno, obiettivo e materiale da consegnare, sia esso un piano editoriale organizzato e strutturato o una serie di file video.

Sapere quello che ti serve e quello che vuoi, come spiega Neil Patel, ti aiuta a trovare più facilmente quello che cerchi.

La ricerca ha inizio

Cosa devi guardare quando sei alla ricerca di un’agenzia di digital marketing? Ammettilo, la prima impressione ha il suo peso. Un bel sito web, accattivante graficamente, semplice da navigare e con tutte le informazioni organizzate a dovere, fa sempre il suo bell’effetto.

È proprio così che vorresti che fosse il tuo sito aziendale!

Vai poi a controllare il porfolio dell’agenzia, cioè con quali clienti lavorano e hanno lavorato, in che settori hanno operato di più e se c’è qualche ambito curioso o particolare in un cui hanno prodotto lavori interessanti e creativi.

Certo, se stai cercando qualcuno che lavori su contenuti o grafica, a volte non sarà facile trovare materiale d’interesse specifico nel porfolio, ma è pur sempre una sezione significativa.

Anche come vengono raccontati i case history può avere il suo perché, non sottovalutare questo aspetto.

Linkedin ti dà una mano

Lavorare con un’agenzia vuol dire spesso avere a che fare, dall’altra parte, con un team. Puoi usare Linkedin per andare a vedere chi sono le persone che ci lavorano, quali competenze hanno, quali sono le loro esperienze precedenti e perché no, anche qualche aspetto personale, come le foto di profilo, giusto per capire se nasce subito dell’empatia.

Cosa dicono gli altri

Ci sono delle testimonianze di altri clienti? Verifica la reputazione dell’azienda, cerca informazioni e opinioni di altri anche su fonti esterne al sito aziendale. È un modo per non affidarsi solo a quello che l’agenzia dice di sé e per verificare la bontà del lavoro svolto attraverso la voce di persone indipendenti.

Fatti un giro

Non ti limitare al sito web aziendale quando stai valutando un’agenzia. Da lì puoi sicuramente capire lo stile e come comunica, se per esempio fa promesse molto aggressive e commerciali o se invece fa parlare i propri lavori.

Fatti un giro sui canali social per avere un’idea anche dei valori che l’agenzia ci tiene a comunicare e se magari sono vicini ai tuoi e a quelli della tua azienda.

Anche la facilità e la velocità con cui si riesce a comunicare con l’agenzia ti può aiutare a capire quale sia l’attenzione verso gli altri, quindi anche verso il cliente.

Full service o specialista?

Bella domanda, la risposta è ‘dipende’. Se la tua necessità è specifica e unica, per esempio se ti serve produrre un video promozionale, allora forse è meglio che ti cerchi qualcuno forte in quello. Se invece ci sono molti ambiti del digital marketing sui cui hai bisogno di supporto, allora è meglio affidarsi a un’agenzia full service.

Tieni presente che, comunque, anche le agenzie full service hanno sempre delle specializzazioni, qualcosa in cui si sentono più brave e preparate. Guardare il portfolio ti protrebbe essere utile a capire in cose eccelle l’agenzia.

Come si lavora con un’agenzia

Hai fatto la tua scelta? Bene, sappi che il difficile comincia adesso.

Lavorare con un’agenzia non è come lavorare con un semplice fornitore. Se hai preso questa decisione e intrapreso un percorso di selezione, è perché stavi cercando degli esperti.

Esatto, gli esperti sono loro, quelli dell’agenzia, quindi preparati ad avere a che fare con qualcuno che ne sa più di te quando si parla di digital marketing.

L’alternativa sarebbe stata formarsi o formare qualcuno in azienda, studiare, fare esperienza, provare e sbagliare, tante volte. Le agenzie sono fatte di persone che questo cammino lo hanno già fatto, più e più volte, in settori diversi e lavorando con aziende, e persone, diverse tra loro. Un piccolo, grande partimonio di competenze ed esperienze professionali.

Sei pronto a lasciarti guidare e non avere il controllo assoluto?

Se la risposta è no, farai molta fatica a lavorare con un’agenzia.

Affidarsi non vuol dire lasciare tutto nelle mani di altri in modo cieco. Fai domande, osserva, impara se possibile dagli esperti a cui ti sei affidato. È un modo per conoscere cose nuove e imparare.

Il fattore umano, soprattutto

Chiarita questa cosa del controllo, il rapporto tra te, la tua azienda e l’agenzia si deve basare su organizzazione, collaborazione e relazione.

Da parte tua, condividi aspettative, obiettivi e risultati desirati con il team di persone che sarà da riferimento interno nel lavoro con l’agenzia. Tutto dev’essere chiaro a tutti.

Stabilisci un metodo da seguire per lo sviluppo del progetto e per l’interazione con l’agenzia.

E ricorda che nessuno conosce la tua azienda meglio di te, perciò cerca di spiegare, fornire materiale, input e idee. I migliori progetti sono quelli in cui c’è più collaborazione.

Sei pronto a lavorare con un’agenzia di digital marketing? Se vuoi, te ne posso consigliare una.