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Una ‘Brand New Fashion’ e la tecnologia che va di moda

SingularityU Legnano ha parlato di fashion dall’interno, dando voce a chi sta innovando direttamente dalle proprie aziende.

Il futuro del settore Fashion e Design è tutto da ridisegnare, e non solo a causa del lockdown. Sostenibilità, riuso, nuovi materiali e nuovi processi di ridistribuzione. Una nuova consapevolezza, anche, nei confronti del bello. La ‘fast fashion’ può essere ancora la risposta alla forzata bulimia di consumo? Esiste un modo per traghettare la moda nell’epoca post-Covid19?

Ne abbiamo parlato nella Mission Three del Legnano Chapter di Singularity University, con imprenditori che operano nel settore. Storie di aziende e persone che hanno già da tempo abbracciato l’innovazione tecnologia per affrontare i cambiamenti del mercato e della società e guardare con ottimismo al futuro.

I consumi e il settore moda oggi

Anche il mondo del fashion è stato colpito duro dal Covid-19. Lo ha spiegato Erika Andreetta, Consumer Markets Consulting Leader di PwC Italy: sui consumi c’è stata una diminuzione del 30% nel mondo. Prima della pandemia ci si aspettava di spendere di più rispetto all’anno precedente, ma in Italia il lockdown è stato più lungo del previsto e l’incertezza sulla stabilità del posto di lavoro ha bloccato la fiducia. Il Covid ha avuto un impatto sui consumi ma anche sulla filiera del tessile e del calzaturiero. Ora il settore è in ripresa.

Il consumatore ha cambiato le modalità di acquisto”.

Erika Andreetta (PwC Italy)

Con la diminuzione del reddito del 57% è diminuita anche la spesa per i consumi, con una previsione di -45%. È aumentata la home delivery, ma non si riescono comunque a coprire i volumi persi.

In periodo Covid è aumentato l’ordine online di generi alimentari, soprattutto le categorie base come farina uova e pasta ed è diminuita la vendita di piatti pronti, evidenza di un cambio delle abitudini. L’acquisto di calzature, abbigliamento e prodotti del beauty ha fatto registrare un meno 70%.

La filiera tessile ha avuto una riconversione solidale alla produzione di mascherine e camici, a supporto di ospedali e comunità locali. L’aspetto solidale è quello della collaborazione tra aziende competitor, che per i due mesi della quarantena si sono scambiate informazioni per la produzione in favore di chi era in prima linea contro il coronavirus.

Da sottolineare che la riconversione delle linee di produzione di molte di queste aziende è avvenuta per donare il materiale agli ospedali, rifiutando la cassa integrazione e pagando i propri dipendenti.

C’è un ritorno della tecnologia. Quello che poteva sembrare un uso solo per giovani, sta diventando necessario per tutti”.

Erika Andreetta (PwC Italy)

Gli strumenti digitali rendono più democratica la moda anche i più giovani e meno conosciuti riescono a farsi conoscere. Dobbiamo sfruttare i benefici che la tecnologia offre.

Un tessuto di nuova concezione che costa più dell’oro

Francesco Lazzati si occupa di Business development per Technow, azienda di famiglia del settore tessile, innovativa, che si occupa anche di tessitura, tintoria, resinatura, laminatura… Passaggi importanti per la qualità del prodotto.

Dal punto di vista della tecnologia, anche questo settore si è evoluto. Prima i cosiddetti ‘salti tecnologici’ erano diluiti nel tempo, ora l’innovazione è ogni sei mesi.

Per questo in Technow hanno deciso di non aspettare più le richieste dei clienti per far partire la ricerca e sviluppo (R&D), tutto parte dall’iniziativa interna.

Francesco Lazzati (Technow)

Un esempio concreto è il tessuto idrorepellente senza sostanze nocive o l’uso del grafene, un materiale di recente scoperta che consente di arricchire le proprietà di un prodotto: antibatterico, antistatico, conduttività termica.

La parte difficile nell’introdurre una novità come questa, il grafene, in azienda, è stata identificare un processo che riuscisse a mantenere le qualità del materiale anche quando magari è sottoposto a stress, per bilanciasse le sue performance ma anche che contesse i costi (il grafene costa infatti più dell’oro), per non andare fuori mercato.

Dopo un anno di tentativi e fallimenti, Technow sta iniziando a impiegare il grafene nell’abbigliamento di lusso.

Il valore del design e del brand

Stefano Aschieri è co-founder con il fratello di Wood’d, brand di oggettistica per la tecnologia. L’idea nasce dall’azienda di famiglia che lavora il legno e produce stuzzicadenti, appendini e oggetti per la grande distribuzione.

Con Wood’d, Stefano e il fratello riescono a distinguersi con qualcosa di diverso, puntando sulla qualità del prodotto e sul target degli oggetti di lusso.

Nel 2013 producono la prima cover per iPhone in legno, un prodotto Made in Italy dal prezzo elevato (40/50 euro) rispetto alle altre presenti sul mercato e questo li ha posizionati su un target alto spendente. Lo stesso anno, con Pitti Immagine inizia la loro avventura e ora le principali aziende del fashion sono loro clienti.

Stefano definisce il brand Wood’d un utility premium, cioè qualcosa che vale poco ma che grazie al design e al brand cresce, grazie anche alle tante collaborazioni con artisti che danno importanza alla loro community.

Lavorando molto con la Cina, anche per loro l’impatto negativo del Covid-19 si è fatto sentire.

Chi fa accelerare le start-up

Nazzareno Mengoni è il co-founder di Startupbootcamp, azienda che aiuta le start-up a crescere e affermarsi. Il 75% delle start-up che si affidano all’azienda riesce a sopravvivere, ed è interessante notare come il 42% delle start-up abbia una fondatrice donna.

Il programma di Startupbootcamp prevede una prima fase di scouting, poi una call con mille start-up che si propongono tra cui ne vengono scelte 250, infine le migliori 30 vengono invitate nella sede fisica e solo le migliori 10 possono partecipare al programma di accelerazione.

Le migliori imprese emergenti di solito sono quelle B2B”.

Nazzareno Mengoni ( Startupbootcamp)

Per costruire l’ecosistema per far crescere le start-up, Startupbootcamp si occupa di:

  • analisi del mercato
  • omnichannel e retail
  • sostenibilità come modello di business

Tra i partner dell’azienda ci sono Intel, Rabobank, Eneco e Lloyd Banking Group.

Trasformazione digitale anche per le fiere

Marco Carniello (Group Brand Director Jewellery & Fashion di Vicenzaoro) ha parlato di come col Covid “o ti evolvi o muori”.

Le fiere, ad esempio, si stanno integrando alla parte digitale, la parte fisica beneficia della simmetria informativa. La fiera è un momento di ispirazione, è una piattaforma che serve alla community. La commistione col digitale può fare in modo che le fiere diventino momenti di intervalli fisici trasmessi digitalmente tutto l’anno.

Marco è impegnato anche su Origin, fiera che nasce nel 2014 per dare voce alla parte della filiera concentrata sulla moda.

Capita di incontrare aziende che sono production driven, che magari sono piccole e non si sanno vendere bene”.

Marco Carniello (Italian Exhibition Group)

Le piccole e medie aziende di moda del Made in Italy possono presentare le proprie competenze ed essere seguite in un cammino di crescita.

Una delle fiere più conosciute, come Vicenzaoro, invece, ha un approccio nuovo, un nuovo modo di intendere il mercato. Uno degli aspetti più importanti di questa esposizione è proprio la sostenibilità.

Supportano i brand nel loro percorso di sostenibilità

Serena Moro è Head of Sustainability di Cikis, azienda nata nel settembre del 2019 e che si occupa di sostenibilità delle aziende di moda e di creare fiducia nei confronti di consumatori e clienti.

Serena ha raccontato di come i brand chiedano sempre di più di migliorare la qualità dei materiali. Cikis aiuta le aziende a trovare questi materiali, più sostenibili.

Quando si compra un materiale si compra tutta la filiera, così come il suo impatto energetico”.

Serena Moro (Cikis)

Cikis aiuta a implementare la tracciabilità di tutta la filiera, aiutando a conoscere gli altri fornitori che la compongono.

The Zen agency è sponsor di SingularityU Legnano Chapter: crediamo nella tecnologia esponenziale come strumento per la crescita del benessere delle persone. Agiamo in un contesto locale, ma parliamo di temi di interesse globale e formiamo comunità di pensatori che guardano al futuro, spinti dalla passione e dalla volontà di fare. Gli eventi che organizziamo riuniscono le persone per avere un impatto positivo, necessario per superare le grandi sfide dell’umanità.

Unisciti a noi! Partecipa ai nostri eventi, diventa un volontario o un relatore. Contattaci, ti aspettiamo.

Tour de France: la Realtà Virtuale batte la pandemia

La pandemia di coronavirus ha cambiato il modo in cui facciamo le cose. Gli eventi, i luoghi e le attività a cui eravamo abituati sono stati cancellati, chiusi, in alcuni casi, definitivamente. Sono nate versioni virtuali di quasi tutto: incontri, concerti, feste, lezioni, convegni. E i grandi eventi sportivi?

Il calcio è ripartito a porte chiuse, senza pubblico, idem il tennis e la Formula 1. Ma sport come il ciclismo, che si spostano lungo centinaia di km, come possono fare per non rischiare l’oblio?

Il Tour de France ha pensato di organizzare la sua corsa a tappe in modo virtuale. Parliamo della corsa a tappe di ciclismo più antica e famosa del mondo: dal 1903, sulle strade di Francia si corso in bici ogni anno, con la sola eccezione della prima e della seconda guerra mondiale.

Il Tour è ancora in programma: Covid-19 permettendo, è stato rinviato a fine agosto (di solito si svolge a luglio). Nel frattempo gli organizzatori hanno pensato a come riempire questo buco nel calendario degli appassionati, dei ciclisti professionisti e anche degli sponsor.

Poiché tutte le gare ciclistiche più piccole che si svolgono di solito durante l’estate sono state annullate, il tour virtuale darà ai ciclisti una motivazione per allenarsi e la possibilità di mettersi in gioco in un evento agonistico. Le loro routine di allenamento sono state interrotte e stravolte, serviva qualcosa per ripartire e far girare i pedali.

Ecco allora il Tour de France virtuale

I partecipanti saranno in sella a biciclette fisse nelle loro case invece che su bici reali su strada, e ci sono altre differenze chiave tra il Tour virtuale e la corsa reale.

Per i principianti, il Tour è normalmente suddiviso in 21 tappe, ciascuna classificata come pianeggiante, collinare o montana. I ciclisti devono completare le tappe programmate in 23 giorni consecutivi, per una distanza totale di circa 3.500 chilometri.

Il tour virtuale ha ovviamente un programma diverso da questo: la gara è prevista per tre fine settimana nel mese luglio, con sei tappe della durata di una o due ore ciascuna. Come nella corsa reale, ogni tappa tenderà a essere prevalentemente collinosa, montana o pianeggiante, il che significa che i partecipanti dovranno regolare la resistenza sulle loro biciclette da allenamento e talvolta pedalare in piedi o accovacciati per simulare l’arrampicata su una collina (se hai mai fatto spinning sai come funziona).

La gara si svolgerà su Zwift, una piattaforma virtuale in circolazione da alcuni anni, un’app di allenamento per ciclisti, corridori e triatleti. Gli atleti usano un tapis roulant o una cyclette in combinazione con una serie di sensori più il loro laptop o smartphone. Possono accedere a programmi di allenamento personalizzati e partecipare a gare virtuali contro altri utenti in tutto il mondo.

I concorrenti del Tour virtuale avranno davanti a loro un grande schermo che simula la loro corsa attraverso ambienti virtuali, alcuni dei quali creati appositamente da Zwift per questo evento. Per i primi due giorni di gara, per esempio, i ciclisti attraverseranno Watopia, un mondo virtuale creato da Zwift. L’azienda ha costruito altri scenari personalizzati per il Tour, imitando principalmente i luoghi della vita reale in cui si svolge solitamente la gara, tra cui la campagna francese, un picco di 6.263 piedi in Provenza chiamato Mont Ventoux e il traguardo sui famosi Champs-Elysées a Parigi.

Secondo gli esperti, pedalare su Zwift può effettivamente essere più impegnativo fisicamente rispetto a una vera bici, per tre motivi: è più difficile per il tuo corpo rinfrescarsi, la resistenza della bici funziona in modo diverso e la motivazione diminuisce perché non c’è l’effetto del contesto, non c’è il vento tra i capelli e la strada che si muove sotto di te.

Quest’ultimo punto è la chiave

Siamo riusciti ad affrontare la pandemia in modo molto diverso da come avremmo fatto solo 10 anni fa. Tecnologie come Zoom e Slack hanno permesso a milioni di persone di lavorare da casa, i nostri smartphone ci hanno aiutato a rimanere ultra-connessi anche quando eravamo fisicamente separati, e un rapido accesso alle informazioni ci ha tenuti informati su ciò che stava accadendo.

Naturalmente, parlare con i nostri amici o guardare i musicisti in streaming su uno schermo non potrà mai sostituire l’esperienza di persona, proprio come andare su una bicicletta fissa attraverso un mondo virtuale non ti darà mai la sensazione che ti dà il vento tra i capelli o l’asfalto sotto le ruote.

Ma in un momento in cui non abbiamo altra scelta se non apprezzare le piccole cose, è sicuramente meglio dell’alternativa, che è … niente.

A seconda del modo in cui la pandemia continua a manifestarsi, potremmo essere costretti a vivere in un futuro altamente virtualizzato, con eventi che non avremmo mai pensato che potessero diventare virtuali pur di trovare un modo per riuscire a farli.

Idee che creano nuove opportunità di marketing

Potrebbe essere una grande opportunità anche per le aziende di settori particolare, come il fitness e le palestre, di riuscire a operare in periodi di lockdown, se non addirittura di differenziare la propria offerta oltre a quella reale, fatta nella propria struttura.

Il nuovo sbocco, forzato durante il lockdown, potrebbe essere quello digitale, producendo contenuti (es. video corsi) per chi ha problemi a frequentare assiduamente la palestra; vendere attrezzatura connessa di nuova generazione, per organizzare sedute ad hoc o competizioni. Opportunità, appunto, che non possono sostituire l’esperienza reale, ma che possono arricchire l’offerta ed essere da supporto nel bene e nel male.

Quanti partecipano al Tour de France virtuale?

23 squadre maschili e 17 squadre femminili si sono iscritte alla gara di bici virtuale, inclusi gli ultimi tre vincitori dell’evento reale. Le riprese verranno trasmesse in oltre 130 paesi.

Speriamo solo che tutti i concorrenti abbiano connessioni Internet stabili.

Cyberpunkers, storie di ribelli: rompere le regole fa bene alle aziende

Rinnovare il business è oggi più che mai una priorità. Ecco chi ci è già riuscito e chi continua a provarci.

Gli uffici di the Zen agency tornano a ospitare gli eventi Divergent. Lo scorso primo di luglio, è andato in scena il format ‘Save the Rebel’ con l’evento in streaming dal titolo ‘Cyberpunkers — IL TALENTO RIBELLE AL SERVIZIO DELLA DISRUPTION DIGITALE’, nell’ambito del programma del Milano Marketing Festival 2020.

Nell’era post Covid-19, parlare di ribelli a livello aziendale è più che mai di attualità, e Save the Rebel porta alla ribalta casi imprenditoriali reali ed esperienze umane che tutto sono fuorché un esempio di tranquillità e comfort zone.

Sempre fuori dal coro

Dopo lo scossone della pandemia, serve ora la capacità di prendere decisioni, di osare, anche se non sai dove ti porteranno. Il senso dell’introduzione di Germano Lanzoni, creatore di HBE — Human Business Entertainment, è proprio questo e la sua storia è un esempio di scelte fatte controcorrente e contro la comodità.

Adattarsi non è da ribelle: “Se un ribelle si sforza di adattarsi può implodere nel progetto impostato” dice Lanzoni.

Il progetto di portare l’umorismo nella comunicazione aziendale è nato rifiutando di appiattirsi sugli stili consolidati tipici del periodo in cui scelse di puntare su qualcosa di suo, di indipendente.

Alla base del percorso di Lanzoni c’è tanta sperimentazione, in continuo ascolto, per cogliere spunti di valore da tutto e da tutti, anche dai più giovani.

Futuro? Il presente è già Cyberpunk

Il padrone di casa Seby Fortugno, Founder ed Executive Creative Director di the Zen agency, ha parlato di come molto di quello che succede oggi fino a poco tempo fa sembrava fantascienza, ma proprio in questo mondo, cioé dalle sceneggiature dei film fantastici, possiamo trovare molti riferimenti di concreta attualità.

La realtà virtuale, il cambiamento degli assetti urbani, le guerre informatiche e la presenza di pubblicità sempre più invasiva, portano oggi la cosiddetta disruptive innovation, concetto di cui le presentazioni aziendali sono ormai piene.

Ma disruption non vuol dire accelerazione tecnologicaDisruption vuol dire rottura, quella che genera un salto nel business”.

Gli esempi di vera disruption sono quelli di Amazon che allarga e differenzia il suo business oltre l’e-commerce, di Whatsapp che rivoluziona il modo di comunicare e di AirBnB che stravolge il modo in cui siamo abituati a prenotare e vivere le nostre vacanze.

Domanda: come è andato il Milano Marketing Festival in Zen? Risposta :#changeiszen

Posted by the ZEN agency on Tuesday, July 7, 2020

La velocità dell’innovazione tecnologica va indirizzata “verso una Distruption culturale e comportamentale” ha concluso Seby Fortugno.

I ribelli si battono contro le differenze

È quello che fa Chiara Brughera, managing director della non profit SheTech Italy, associazione che lavora per colmare le differenze di genere. Supporta le donne nel mondo della tecnologia, del digital e dell’imprenditoria attraverso eventi di networking, corsi di formazione a Milano e Roma e cercando di costruire opportunità professionali.

Il gender gap riguarda in particolare proprio il settore dell’informatica e della tecnologia.

All’università, ‘solo’ il 18% delle donne sceglie percorsi di questo tipo” ha ricordato Chiara.

Anche se in ambito accademico hanno performance migliori, le donne non vengono ripagate poi adeguatamente a livello economico e professionale. Per questo molte start-up stanno iniziando a fare qualcosa di concreto, anche attraverso associazioni come SheTech Italy.

Il cliente finale sempre al centro

Marco Mottolese, è il ceo & co-fondatore di Foorban, una start-up a sua volta ribelle perché nel 2016 è nata come ristorante senza sala con consegna a domicilio, soprattutto per i luoghi di lavoro.

Cavalcando una ribellione più hard, abbiamo deciso di focalizzarci sulla pausa pranzo” ha detto Marco.

Foorban si è focalizzata sul pranzo, un azzardo nel momento in cui stavano fiorendo attività di food delivery che funzionavano soprattutto la sera e che trasportavano piatti di ristoranti terzi. Ha funzionato però il focus sul cliente finale e sulla sua esigenza di avere la mensa in ufficio, un mercato in cui non c’era offerta ma con una forte domanda.

Dopo il Covid la situazione ora non è delle migliori, ma l’azienda di Mottolese cerca di spingere sempre sull’innovazione e la capacità di adattarsi ai cambiamenti. “Non cambiano i principi del marketing, ma il modo di applicarli in questa nuova situazione” ha concluso Marco.

Cambiare per sentirsi più umano

La storia del ‘ribelle’ Vanni Oddera è quella di un campione di motocross che ha deciso di usare la sua passione per aiutare chi è in difficoltà. Vanni fa provare la mototerapia ai giovani pazienti dei reparti oncologici e quelli con problemi fisici, una pratica ora diffusa a livello mondiale proprio grazie al lavoro di Oddera, il primo a portare la moto dentro gli ospedali.

La mototerapia è un momento di aggregazione per allontanare la solitudine, perché se hai un problema, una malattia, la società ti allontana” ha detto Oddera della sua attività.

Vanni ha raccontato del suo momento di cambiamento: preso un taxi per andare in discoteca, notò che il taxista era senza gambe e, nel confronto, si sentì veramente fortunato. Regalò tutto quello che aveva al tassista e decise di cambiare vita. Ora dà speranza alle persone e dice di avere acquisito un valore importante: l’umanità.

Infine, i fottuti ribelli

Il monologo di Ciccio Rigoli, CEO e fondatore dell’incubatore culturale Slam, ha chiuso l’evento del format ‘Save the Rebel’ di Divergent. L’intervento è incentrato su come i più vecchi “hanno fottuto i 30/40enni”: uno specchio della situazione di oggi a cui la generazione di ribelli deve reagire per cercare, comunque, di andare avanti.

Entra a far parte della nostra community di ribelli digitali! Continua a seguire gli eventi Divergent by the Zen Agency, iscriviti sul sito e tieniti aggiornato sui temi e le date dei prossimi appuntamenti.

Quanto sei disposto a farti pagare per i tuoi dati personali?

La privacy ha veramente un valore? Nell’era della trasformazione digitale e dei Big Data sembrerebbe proprio di sì. Ma quanti di noi si ricordano l’ultima volta che hanno letto i termini e le condizioni di utilizzo dei suoi dati prima d’iscriversi a un servizio online?

In pochi hanno scaricato l’app Immuni per il contact tracing e il monitoraggio dei contagi da Covid-19. Durante la sua evoluzione c’è stata un’alzata di scudi generale da parte di chi sosteneva che Immuni sarebbe servita a controllarci come fa la Cina, in modo manifesto e dichiarato, con i suoi cittadini.

Eppure nessuno sembra preoccuparsi di tutto quello che siamo liberamente abituati a usare online in cambio dei nostri dati. Il ragionamento è semplice: se un servizio web, che è costato decine o centinaia di migliaia di euro, per accedere ed essere usato ci chiede ‘solo’ i nostri dati personali, allora questi dati hanno un valore (economico) che non ci viene riconosciuto se non con la possibilità di utilizzo del servizio stesso.

Ma siamo sicuri che questo scambio sia equo da punto di vista economico?

Tu non ci pensi ai tuoi dati, ma loro sì

Il pioniere dello streaming online, Netflix, per anni ha continuato ad avere bilanci in rosso ma a crescere nel numero di abbonati e, ovviamente, nella quantità di dati immagazzinati nei suoi server. Tutte quelle informazioni serviranno a qualcosa, prima o poi. Oltre al fatturato da abbonamenti, è probabile che Netflix sappia già come creare valore, economico ovviamente, da tutti quei dati.

Corriamo da un social all’altro senza sosta, senza domandarci come vengano usati i dati che lasciamo. Usiamo nuove app di provenienza sconosciuta o poco chiara, come TikTok e FaceApp, senza preoccuparci dell’altro lato della medaglia, senza chiederci che cosa faranno dei nostri dati due paesi non proprio democratici, come Cina (TikTok) e Russia (FaceApp), che hanno il potere di controllo sulle aziende che hanno prodotto le due piattaforme.

Abbiamo paura del contact tracing sul modello cinese, ma lasciamo che minorenni di giovanissima età carichino i propri video su TikTok.

Tutti abbiamo paura delle conseguenze dell’uso della tecnologia di riconoscimento facciale, ma volontariamente carichiamo le nostre foto su un’applicazione russa di cui sappiamo pochissimo e nemmeno ci informiamo. Solo un anno fa, il senatore americano Chuck Schumer ha chiesto all’Fbi di indagare su FaceApp e i sospetti rimangono.

I dati sono o no un nostro diritto di proprietà?!

È giusto lasciare tutti questi dati liberamente ad aziende che grazie ai Big Data fatturano più del Pil di molti stati? C’è chi dico no, come l’imprenditore americano Andrew Yang che ha creato il Data Dividend Project (DDP), un movimento dedicato a riprendere il controllo dei nostri dati personali.

Non ci sono molte informazioni su come il DDP riuscirà a perseguire questo scopo, ma sembra che il principale obiettivo sia sensibilizzare e mobilitare le persone. Come si legge sul sito del progetto, i singoli consumatori non possono fare molto per combattere le grandi aziende o richiedere pagamenti per i dati, ma più persone sono coinvolte, maggiore è il loro potere.

L’obiettivo finale di Yang è che gli americani siano in grado di rivendicare i loro dati come un diritto di proprietà e di essere pagati se scelgono di condividerli.

Chi si iscrive al progetto, autorizza il DDP ad agire come agente autorizzato per esercitare i propri diritti legali ai sensi del California Consumer Privacy Act (CCPA) recentemente emanato. L’atto è entrato in vigore il primo gennaio di quest’anno e offre ai consumatori in California il diritto di sapere come vengono raccolti e condivisi i loro dati personali, il diritto di chiedere che i loro dati vengano cancellati e il diritto di rinunciare alla vendita o alla condivisione delle loro informazioni personali. La legge proibisce inoltre alle aziende di vendere le informazioni personali dei consumatori di età inferiore ai 16 anni senza il consenso esplicito.

Noi europei qualcosa del genere lo abbiamo già sentito.

GDPR, un regolamento all’avanguardia

Dal 2018 in Europa è in vigore il GDP (General Data Protection Regulation), un regolamento a tutela dei dati che pone il nostro continente un grandino o due sopra agli altri.

Come abbiamo discusso anche noi nella nostra agenzia, grazie agli eventi di Singularity University Legnano Chapter, è il momento di parlare di etica, sia nelle tecnologie esponenziali, come l’intelligenza artificiale, sia in quelle digital, come Internet.

La free economy degli anni passati è forse arrivata al tramonto, molti invece dicono che ormai non si può più tornare indietro. Siamo abituati a lasciare dati per non pagare dei servizi che oggi fanno parte della nostra quotidianità.

Non possiamo però più pensare che lasciare i nostri dati ad altri, senza la consapevolezza preventiva e senza un controllo sul loro utilizzo, possa continuare a essere la regola. Il futuro che abbiamo davanti sarà sempre più automatizzato e digitalizzato, e i dati diventeranno sempre più importanti e preziosi, un vero strumento di potere.

Il GDPR è nato proprio per far fronte al trattamento dei dati e ha creato delle difficoltà a tutte quelle aziende che hanno clienti in Europa ma la sede in altri continenti. Alcuni siti hanno all’inizio addirittura scelto l’auto oscuramento per i visitatori europei pur di non doversi adeguare al nuovo regolamento.

Chi pensa che si tratti di un eccesso di burocrazia si sbaglia. L’Europa ha fatto un passo importante e ha segnato la strada. A chi si occupa di web marketing, il GDPR ha finalmente permesso di trasmettere il valore della qualità dei dati e della sicurezza con cui vengono gestiti.

Costruire delle liste di persone interessate al proprio business, per esempio, dal 2018 è più complicato, ma si è alzata di molto l’asticella della qualità e dell’attenzione a come questi database vengono costruiti. È aumentato anche il rispetto di molte aziende nei confronti dei dati degli utenti e, quindi, delle persone stesse.

Sono passati solo due anni dall’entrata in vigore del GDPR, la strada da fare è ancora lunga, ma non possiamo non ammettere che ha aiutato a creare una cultura del dato.