Gli altri si mettano il cuore in pace e facciano di tutto per farli crescere.
Pensavo di non avere certi pregiudizi, invece mi sono dovuto scontrare con la dura realtà. Anch’io sono caduto nella trappola di pensare che una persona giovane sia meno efficiente e competente di una persone più grande di età.
Il mio è stato un giudizio superficiale dato solo sulla base dell’aspetto e dell’età. Mi è capitato quando mi sono trovato davanti il tecnico che doveva verificare i requisiti della mia abitazione per l’allacciamento alla linea Internet. Era molto giovane e quindi il mio primo pensiero è stato:
“Se ci fossero dei problemi, sarebbe in grado di cavarsela?”.
Alla fine quei problemi non ci sono stati e il giovane tecnico è stato bravo e professionale, ma sono rimasto sorpreso, in negativo, da quel mio giudizio affrettato. Mi consideravo così aperto di vedute, e invece…
Dopo i 30, il cervello inizia a invecchiare
Sono stato anch’io giovane, come tutti, possibile che il passare degli anni abbia condizionato così tanto il mio punto di vista?
Probabilmente mi sono allineato al pensiero comune che dice “giovane = inesperto” e poco affidabile.
Qualche settimana fa ho ascoltato Massimo Temporelli parlare di ‘fottuti geni’ e ricordare come le più grandi scoperte scientifiche della storia dell’uomo siano state fatte in giovane età, prima dei 27 anni.
Gli esempi sono diversi, in Italia e all’estero: da Enrico Fermi a Charles Darwin fino ad Isaac Newton e molto altri, soprattutto nel campo del business e della cosiddetta new economy. È una statistica, un dato inconfutabile, non un’opinione.
Eccezioni, si potrebbe pensare, ma non è così, il cervello è più fertile in giovane età, poi molte connessioni si spengono, le perdiamo, già dopo i trent’anni.
Se la storia dice questo, cos’è allora che mina la fiducia nei confronti dei giovani? Nel nostro paese questo sembra un problema cronico e i motivi sono probabilmente tanti. Proviamo però ad accettare questa cosa come un dato di fatto, soprattutto nel campo delle idee e della creatività: i giovani sono più bravi.
Cosa significa questo nel campo della comunicazione?
Oltre alla creatività, penso alla facilità con cui i giovani di oggi possono affrontare e trattare temi come le discriminazioni. I ventenni sono nati e cresciuti in una società in cui certi argomenti hanno sempre maggiore importanza e rilevanza e in cui aumenta la sensibilità verso certi problemi.
Lo stesso vale per la tecnologia: oggi parliamo di ‘nativi digitali’, io invece ho giocato con i videogame che si caricavano da audiocassette a nastro…
Preso atto di quello che dice la storia, la morale è che anche la mia generazione, quella degli over 45 (non siamo ancora così vecchi, dai!) dovrebbe mettersi disposizione dei giovani, con l’esperienza, intesa come insieme di competenze professionali e personali, per assecondare il loro talento e creare il contesto ideale in cui farlo sbocciare.
Non si tratta di altruismo ma di un modo per mettere le risorse al servizio delle nuove idee. Forse è così che possiamo veramente innescare un circolo virtuoso e cambiare le cose, in meglio.
BOOKOWSKI – Not the ordinary caffè letterario è un nuovo modo per presentare un libro, chiacchierando con gli autori e le autrici per sapere come è nata l’idea, quali libri amano leggere e quali serie guardare. Ci sono domande alle quali non vorrebbero rispondere, provocazioni, risate, battute.
Siamo partiti il 27 novembre con il nostro amico Germano Lanzoni (in agenzia) e Giovanna Donini (in streaming) per presentare il loro: “LA TERRA DEI PIRLA”.
Me lo sono letto al mare, sperando che le cronache da quarantena raccontate fossero da archiviare nella cartella “brutti ricordi”, purtroppo non è andata così.
La serata è iniziata con uno (anzi, due) “SCHIAFFO IN FACCIA”, niente di fisico o metaforico, ma la birra selezionata per la serata dal nostro partner Legnano Brauhaus. Ve la consiglio.
«La leggerezza è quella cosa che ci consente di leggere la realtà quando è difficile, o perfino drammatica.»
Iniziamo: siamo tornati al punto di partenza?
Giovanna: il libro affrontava la reazione dei pirla, o dei tanti pirla differenti, rispetto a questo virus. Oggi i pirla restano ma forse siamo tutti un po’ più consapevoli.
Più preoccupati e attenti, meno tolleranti rispetto a errori che sono stati fatti…
Germano: il primo lockdown è stato un evento collettivo, ci siamo trovati insieme – ad esempio sui balconi – in una situazione imprevista e imprevedibile in cui i nostri ruoli erano definiti: “non rompere il c***o, scegli quali serie Netflix guardarti e rimani sul divano”.
In questo lockdown la chiusura è individuale, ognuno vive in casa secondo le sue priorità.
Il lato pirlesco è che per assurdo siamo sempre “noi”, possiamo percepirci come l’ultima ruota del carro, ma il meno-pirla ha la consapevolezza che le redini le abbiamo in manosingolarmente.
È un atto di consapevolezza e responsabilità.
La prima cosa alla quale ho pensato è stata come abbiamo rivalutato il non avere tempo.
Prima ci sembrava che ci fosse troppo poco tempo per fare tutto, il lockdown ha creato una dilatazione del tempo incredibile. Non avete voglia di tornare a non-avere-tempo, di tornare a riempire le agende di persone e appuntamenti? Non temete che alcune abitudini siano cambiate in modo definitivo?
Giovanna: faccio call con amiche – quasi tutte single – e ti garantisco che è molto difficile gestire questa situazione. Hai voglia di conoscere di persone e non puoi, salvo chiedere se “hai fatto il tampone”.Il primo lockdown è stato una tragedia, anche solo il fermarsi a riflettere ti impediva di fare altri ragionamenti. Ci ha obbligato a una riflessione individuale e collettiva.
Ora la vita è ripartita, hai voglia di conoscere persone, fare amicizie: non è facile.
Siamo tutti molto più isterici e nervosi, ne approfitto per lasciare il mio numero di telefono…
Germano: Giovanna ha dato due informazioni chiave: è single e ha un sacco di amiche single.
Sul senso del tempo per me non è così, vedo una differenza generazionale.
Egidio, vivi un’età dove l’essere sul pezzo 24/7 genera un flusso di eccitazione continua, è giusto che questo mood, queste pulsioni, queste opportunità ad altissimo livello – ricordiamoci che viviamo a Milano dove ci sono possibilità H24 – è fondamentale.Stare a casa oggi è un sacrificio.
Quando sei over-50 si deve centellinare il tempo, e io arrivavo da una serie di impegni assurdi che mi hanno reso difficile anche il solo confrontarmi con amici ecc… Mi ha impedito di centrare il mio focus.
Per fare spettacoli anche le pause hanno un ruolo fondamentale, anche i grandi come Gaber ne approfittavano, farsi coinvolgere al 100% dal flusso per il contesto del tempo lo possono fare alcune persone in determinate fasce d’età, non tutti. Noi giullari dobbiamo vedere che cosa stona, dobbiamo poter osservare quello che non funziona.Io sono un testimonial dell’H24, ma la mia attenzione deve essere presente anche attraverso le pause.
Lo dico con invidia eh, anch’io vorrei avere come te l’obiettivo “tavolo dell’Old Fashion”.
Ormai sono fuori tempo massimo anch’io, quando sono le undici oggi dormo sul divano, qualche anno fa entravo in doccia pronto a uscire di casa.
Ma in fondo lo dicevamo tra amici: dopo i 30 in discoteca solo se è tua.
Parlavo della possibilità della scelta, di poter scegliere se fermarmi o andare alla massima velocità, però è vero che lavorando in contesti creativi dobbiamo accettare che serve rallentare per creare.Stiamo vivendo un’accelerazione di tutti i processi, ad esempio guardate quello che abbiamo vissuto con la digitalizzazione. Smart working, home working, nuova organizzazione del lavoro: igrandi cambiamenti andrebbero fatti come scelte, non come forzature.Oggi tutte le aziende sono digitali, interconnesse in un mondo digitale, forse non tutte ne erano perfettamente consapevoli. Pensavano fosse una scelta.
Oggi il virus nella sua democratica drammaticità non ha fatto prigionieri: ha reso obsolete realtà aziendali e settori che sembravano intoccabili.
Perché diciamo tutti che per sopravvivere serve cambiare e facciamo così fatica a farlo?
Germano: siamo sopravvissuti a migliaia di cambiamenti, oggi continuiamo ad averne paura.
Lo sviluppo del nostro cervello, ad esempio, è cresciuto perché camminava, con una relazione diretta con il muoversi in un contesto instabile.
La comfort zone del ramo, con il cibo a portata di mano, non ha portato sviluppo.
Il 99% delle specie è scomparso perché non si è adattata al cambiamento: noi siamo i figli e i nipoti dei più svegli, che hanno accettato il cambiamento. Siamo essere allergici alla stupidità e all’immobilità. Tutte le nostre cellule cambiano, quando una cellula si ferma è morta. Il nostro cervello è uno strumento di problem solving straordinario se ci pensi.È uno strumento che però va allenato, cambiare significa non fare più le stesse cose.Nessuno è pronto a cambiare le proprie abitudini.
Dobbiamo smettere di fare le cose che facevamo ieri: è cambiata la percezione che abbiamo del nostro ruolo nella società.
Le aziende, molte aziende, hanno ancora un mindset collegato al padre-padrone, oggi troppe cadreghe di potere sono attaccate al cu…ore.
Nessuno di noi può cambiare il mondo, ma tutti possiamo cambiare individualmente in un secondo: questa è la nostra straordinaria potenza.
La digitalizzazione è una sperimentazione: ciò che pensi di sapere, non conta più nulla.
Devi ripartire da capo. E questa è una figata pazzesca se ci pensate.
Noi reagiamo come animali elementari, siamo schiavi di scelte collettive da un lato, ma possiamo cambiare quando vogliamo attraverso la consapevolezza.
Giovanna: molte aziende hanno avuto difficoltà perché appunto si sono trovare con la necessità di cambiare perché dovevano farlo.Il cambiamento è uno tsunami, va implementato prima che arrivi.
Quando arriva uno tsunami, molte persone invece di scappare rimangono inchiodate sulla spiaggia ad osservarlo, questo perché temiamo l’imprevisto, la nostra mente non lo vuole accettare.
Anche una bocciatura a scuola può essere vissuta come un vettore di esperienze nuove: se rimaniamo senza curiosità, inevitabilmente verremo travolti dall’imprevedibile.
All’inizio quando leggevamo “COVID 19” dicevo: vabbè è in Cina.Subito dopo era qui: dobbiamo accettare che le paure vanno affrontate, esistono.
Germano: le persone cambiano, le aziende non sempre. Quelle che cambiano, sono quelle che pensano di essere fatte da persone. Oggi le aziende devono creare le condizioni per fare riconoscere i propri talenti e le proprie competenze, con un dialogo tra le esigenze della persona e le opportunità dell’azienda,è qui si genererà valore. Dove si vive di regole vecchie e procedure si farà più fatica.In questo cambiamento, le persone faranno la differenza. Mai come oggi.
Giovani e donne, possiamo dire che abbiamo perso un’occasione?
Ad uno dei nostri eventi Massimo Temporelli, raccontando il suo progetto: “Fucking Genius” ha raccontato di come i grandi geni del passato abbiamo iniziato a innovare e creare molto giovani, anche prima dei 30 anni. Lato donne, abbiamo un gap nel nostro Paese a livello di occupazione e ruoli decisionali. Il loro talento che non riusciamo a valorizzare è una perdita inaccettabile per il sistema. Queste due categorie, che potevano essere il detonatore di un vero cambiamento, di una nuova rivoluzione, non solo non sono state “aiutate” ma sono state addirittura penalizzate. Abbiamo creato ancora più differenze tra la parte del Paese “protetta” e quella che viveva già difficoltà sistemiche: poteva essere un’occasione per creare qualcosa di nuovo, abbiamo deciso di puntare su banchi rotanti, incentivi a pioggia e bonus-qualcosa.
Giovanna: non aggiungerei nulla a quello che hai detto, sono d’accordo. Alcuni imprenditori illuminati, che si sono distinti, ci sono stati: ma sono stati casi singoli. Il mondo del lavoro per i giovani e per le donne rimane “bloccato”, poteva essere un’occasione per rivoluzionare le cose. Le donne sono state a casa con i figli, la didattica a distanza… Hai ragione tu: avevamo una possibilità e non è stata sfruttata. Speriamo almeno di aver fatto nascere nuova determinazione a queste categorie.
Esatto, è un tema che parte proprio da alcuni aspetti educativi. Dai messaggi.
Non serve (solo) colpire comportamenti sbagliati, serve iniziare ad educare a nuove azioni.
Spesso anche il mondo della comunicazione non fa i “compiti a casa”.
Giovanna: ero al parco, ho visto una scena nella quale un bambino giocando aveva dato uno schiaffo ad una bambina. La mamma, davanti all’altra mamma, lo aveva quasi giustificato: “va beh, è un maschio…”. No, non funziona così.Non la giudico, ma quanto è radicata in noi questa mentalità sbagliata?
Germano: l’occasione è persa non da oggi, ma da 30, 40 anni… Da quando la figura maschile ha iniziato ad avere tratti di dominanza totale.
Ha radici culturali: il principe azzurro che ti bacia è dentro di te, non è fuori, dovremmo iniziare a cambiare già dalla narrazione delle favole.
È troppo facile spostare fuori la responsabilità dell’educazione: colpa dei genitori, della scuola, dello sport… Èimportante anche non aver paura di cadere e di sbagliare.
Perché accettare la caduta, di sbagliare, di sbattere la facciaè fondamentale e bellissimo.
Cadere e rialzarsi è formativo, educativo: puoi dare tutto ma il 50% è scambio, è reciprocità, serve un passo verso il prossimo.100 anni fa nasceva Rodari, di teste illuminate come lui e Montessori ne abbiamo sempre avute, poi ci scontriamo con quello che l’amico Roberto Bonzio ha chiamato: “Sindrome del Palio di Siena”. Si preferisce troppo spesso una sconfitta collettiva al vedere una vittoria del prossimo. Lo dico sempre alle mie figlie: non serve studiare per il voto, ma per impadronirvi degli strumenti che soddisferanno le vostre curiosità.
Siamo ossessionati da numeri ed algoritmi, ma per lavorare ad un nuovo mindset dobbiamo studiare e conoscere anche la filosofia: come la mia cultura può mettere in contatto le connessioni tra la conoscenza e l’esperienza? Perché altrimenti è solo masturbazione tecnologica.
Basta dire che “è colpa degli altri”, dobbiamo osservare un fenomeno a 360° accettando che magari siamo noi a non aver capito. Noi non conosciamo la realtà, la nostra percezione e il nostro punto di vista è solo una parte del panorama complessivo. Non prendiamoci troppo sul serio, fino a ieri cantavo che: la vita senso non ne ha. L’ironia è un processo di lettura molto buono, fa bene non prendersi troppo sul serio.
Giovanna: sdrammatizzare questa situazione aiuta. Mi ha aiutato ridere e parlare con Gegio, facendo il libro… Tutto con il nostro sguardo, dedicato all’utilizzo della chiave comica. Anche quando litigo con qualcuno penso: “bella questa frase, aspetta che me la segno”. Magari quello che per te è un problema, per me è uno spunto comico.
Germano: se vivi l’illuminazione della sequenza, non temi la detronizzazione di un’offesa. Questo è il potere dell’ironia. Nella dinamica della comunicazione comica c’è sempre una vittima, ma serve ridere “con” e non ridere “di”. Non accentuare il disagio della vittima, ma includila con un’azione psicologia: “è successo anche a te”. La vita è una tragedia, per fortuna è divertente.
Torniamo al libro, con il passaggio sul cortile: molto milanese. Quel mondo aveva dinamiche sociali e comunicative proprie, oggi il digitale ha cambiato tutto. Nel cortile dovevi piacere a 15 persone che ti conoscevano, oggi è tutto flusso, una tua azione social deve piacere a 150, 1.500, 15.000 persone che possono “approvare” con un like. Con le quali non hai interazioni, sono sconosciuti, ma cerchi comunque una loro approvazione.
I malinconici vedono nei social degli strumenti che ci hanno allontanato, forse il lockdown potrebbe averli nobilitati in questo senso: non ci fossero stati, non saremmo stati tutti più soli?
Germano: il cortile dava una forma di indipendenza senza una difesa “di parte”. Mio papà me le dava sempre. Ti rubavano la bicicletta? Colpa tua, c******e.
Era impensabile presentarsi in una scuola e dire a un professore: “tu non sai insegnare”.
Il cortile è un microcosmo i bambini sanno essere anche cattivi con una propria percezione di cosa è giusto e sbagliato. Era una grande palestra per scoprire l’effetto di una brutta figura, di uno “schiaffo”, ogni presenza è costruttiva. Oggi è molto diverso.
Oggi c’è una mancanza di allenamento all’empatia, serve imparare a relazionarsi, per questo motivo è fondamentale tornare a scuola. Questo è costruire un’identità collettiva. Oggi i social stanno cambiando completamente le relazioni tra i ragazzi. Uno sconosciuto non può avere più importanza di un amico.
Giovanna: nel libro lo scriviamo, parlando del compleanno in “smart”, di come queste dinamiche siano diverse. All’inizio mi sentivo “supportata” durante il lockdown – per fortuna che c’è la tecnologia – oggi mi manca molto il contatto umano. Credo fortemente nelle relazioni fisiche reali, nella didattica in presenza… Anche nella creatività il contatto umano è fondamentale, assolutamente.
Sono d’accordo, anche negli eventi è così. In futuro credo la componente “digitale” rimarrà irrinunciabile, ma anche nelle persone trovi proprio la volontà di tornare allo stare insieme fisicamente. Può essere che questa paura derivi dal vivere in una società dove – fortunatamente – non abbiamo vissuto problemi “veri” in casa. Siamo abituati ad analizzarli da lontano, oggi tante persone sono terrorizzate dallo scenario. Un caffè al bar può non essere fondamentale, ma non è fondamentale per chi lo beve, una persona dietro il bancone che vive grazie a quel caffè non la penserà così.
Come possiamo trovare la forza e i motivi di ottimismo per convincerci che comunque, prima o poi, questa emergenza finirà?
Germano: non ho una risposta, credo sia difficilissimo. Siamo a casa perché oggi è uno dei modi più sicuri per stare lontano dal virus, ovviamente il mondo degli eventi viveva dell’esigenza di aggregazione. Sarà interessante vedere nei prossimi mesi, anni, quando potremo decidere di tornare “fuori” se le persone vorranno e riusciranno ad impadronirsi dei loro corpi. Iscrivetevi a corsi di danza, sport di contatto… Dobbiamo tornare alla relazione con il nostro corpo. Avevamo già un’attitudine allo stare in casa, dovuto ai social, i nuovi nati hanno proprio una crescita del cervello “nuova”.
L’interazione con il digital sta portando a cambiamenti irreversibile. Oggi se dai una foto a una bambina piccolo “scrolla”, non sfoglia…
Giovanna: io sono cresciuta negli anni ’80, felicità, benessere, vita vitavita…
Dovevamo “inventarci” i motivi per manifestare, non avevamo motivi reali, il problema era il “bomber”.bDi colpo, a 45 anni, ci siamo trovati in una guerra contro un nemico invisibile. È la prima volta che accade, siamo impreparati e troppo “fighi”. Dalle difficoltà si può anche risalire, mi collego al tema dei teatri: che questa cosa possa diventare l’occasione per ridisegnare la nostra categoria.
Forse anche la scuola fa fatica per questo motivo, forse non ci siamo evoluti abbastanza.
Germano: scuola e sanità hanno vissuto 30 anni di tagli, non è strano che siano i settori più colpiti. Fare polemiche è facile, me ne rendo conto, però è vero che mentre godevamo dagli anni ’80 un benessere crescente condividevamo il mondo con decine di guerre e migliaia di morti. Il loro virus non si chiamava “Covid” ma missile, bomba, carro armato… Quando solo una parte del mondo è in difficoltà il resto del mondo tende – purtroppo – a fregarsene. Ci interessano quel tipo di problemi solo lato immigrazione di massa che arriva da noi, non dal lato di che cosa possa generarla.
Tema teatro, ad esempio, ho avuto la fortuna di lavorare tantissimo, avviando ad esempio HBE che oggi coinvolge più di 25 persone. Il mio focus è stato sul mio gruppo di appartenenza, non tanto per temi “collettivi”. Tanti teatri non sono pubblici, vivono del proprio pubblico, di queste realtà non interessa a nessuno. In Regione Lombardia abbiamo visto l’inizio di un processo, con la creazione di un tavolo che ha l’obiettivo di provare a fare le cose in modo diverso e più coordinato. Perché questo è il tema, non essere più solo “numeri”, lupi solitari, ma muoversi insieme ed in modo coordinato.
Il sistema Paese deve dare accesso a tutti, lasciare le porte aperte, sarà poi la volontà individuale a generare opportunità e carriere.
Quando si parla di cambiamento si sbaglia spesso, concentrandosi troppo sul tema della velocità e troppo poco su quello dell’accelerazione. Sono due cose molto diverse. Non andiamo forte su una strada dritta che non cambia mai, oggi siamo pieni di “curve”, serve un contesto economico e legislativo snello e rapido. Altrimenti non si può competere, il mondo oggi è completamente interconnesso. Affrontiamo tutti i giorni una “gara” ma per colpa degli stereotipi nella gara della vita non partiamo tutti dalla stessa situazione. Si può partire in vantaggio o svantaggio senza nessun merito, semplicemente per fortuna e contesti di nascita: non possiamo dimenticarlo.Oggi ci sentiamo tutti esperti di qualcosa, dobbiamo parlare di tutto. Non posso non ascoltare un medico che mi dice di indossare la mascherina perché me lo devo fare ripetere da Ibrahimovic. Oggi come possiamo trovare le giuste informazioni?
Giovanna: ti rispondo da giornalista, perché lo sono. Primo lavoro: “Sagra del peperone”. Il mio direttore mi disse: “guai a te se scrivi cazzate”. Ogni cosa doveva avere la fonte, essere verità.
Anni dopo, da giornalista rampante, scrissi un articolo – sesso di provincia in provincia – la storia di un marito che trova un amante a letto ammanettato. Tutto vero, avevo le fonti, la storia vendette tantissimo. Tutti mi chiedevano se fosse vera. Era vera, era un amico.
Germano: scusa, ma il tuo amico era il marito o l’amante c******e?
Giovanna: questo non lo posso dire, te lo dirò ma non in questa sede! Sono convinta che oggi più che mai sia necessario avere la certezza della fonte e verificarla. Oggi troppo spesso si fa il “Condividi” senza pensarci. Deontologicamente si insegna a un giornalista di dire sempre la verità, poi puoi decidere come raccontarla, ma non-dire-una-cazzata.
Germano: ci deve essere un sistema, oggi nessuno pensa alla “funzionalità” ma alla “trasmissibilità” rispetto al programma. Nessuno pensa al contenuto perché siamo ossessionati dal punto di vista.
Non si può leggere solo il titolo, nel titolo si crea già l’opinione e si possono generare danni devastanti.
Le reazioni a catena delle supercazzole dall’alto sono una cosa impressionante. Quando i nostri politici parlano con leggerezza di dentro-UE o fuori-UE, generano dei danni economici tangibili.
Giovanna:questo è l’errore spesso, serve capire che quando si fa parlare una persona per fare show si ha una responsabilità. Un giornalista deve fare parlare solo quella che è la fonte ufficiale, altrimenti non è approfondimento, non è intrattenimento ma co-responsabilità di cazzate gravi.
Germano:rivendichiamo il diritto alla pirlata, ma lasciatele a noi comici.
Oggi le aziende si sentono responsabili, il tema della comunicazione e degli effetti della comunicazione sono molto attuali. Le aziende possono decidere di essere solo business, o decidere di avere ruolo, di generare un impatto. Noi facciamo comunicazione nella nostra agenzia, dobbiamo essere consapevoli che quello che facciamo ha un impatto, abbiamo una responsabilità. La Generazione Z, i giovani, sono molto attenti a questo tema. Noi siamo comunicatori, dobbiamo assumere il dovere degli effetti generati da un messaggio. Un gesto semplice come il tasto: “Condividi” genera impatti estremamente concreti.
Giovanna: esatto l’impatto se hai 350.000 follower è fortissimo sui social, e non hai neanche doveri deontologici.
Germano: chi fa giornalismo ha una responsabilità, essere un influencer è diverso. Ci sono TikToker con 104 milioni di followers. È impressionante. TikTok vive di flusso, non contenuto. Non conta più neanche l’informazione, devi solo partecipare a questa abbondanza di informazione generandone altrettanta.
La responsabilità non è solo di chi divulga ma anche “nostra” che decidiamo di dargli peso.
Puoi decidere di credere a “quello del bar”, però rimane una tua scelta farlo.
Montemagno disse che la rete, a differenza della TV, arricchisce chi è ricco e impoverisce chi è povero di curiosità. Puoi arrivare alla mail di Obama, oppure accontentarti di essere previsto dall’algoritmo di Google. Scegli tu.
I pessimisti non vinceranno mai perché non sanno organizzare le feste.
Un campo globale in cui l’Italia è all’avanguardia, composto da una tessuto di imprese di alto livello, forti nella tecnologia e nella creatività che contraddistinguono il “made in Italy”.
Nella serata del 2 dicembre di Singularity University Chapter Legnano, vi abbiamo presentato diverse realtà italiane e le loro capacità innovative in questo settore sempre più centrale nelle politiche industriali di tutto il mondo.
Abbiamo anche messo in luce quali sono i valori e le esperienze umane relative alle missioni spaziali per capire la sostenibilità e l’approccio sul futuro di questa conquista.
Perché investire nello spazio?
Francesca Porzio (Ambassador del Chapter di SingularityU Legnano) ha presentato la serata invitando a questa riflessione:
“Perché alzare gli occhi al cielo e investire tempo e denaro per sviluppare questo settore di tecnologie, quando in realtà sulla terra abbiamo molte questioni irrisolte?”
Francesca ci segnala una risposta offerta da un documento pubblicato recentemente dal MISE nel quale ci spiega come le tecnologie innovative legate allo spazio forniscano le basi per affrontare molte nostre sfide quotidiane.
Oggi non solo i satelliti ci portano alla scoperta dei misteri dell’universo, ma ci aiutano anche qui sulla Terra. Riceviamo dati essenziali per gestire meglio l’agricoltura, controllare il meteo, migliorare le telecomunicazioni, fare le geolocalizzazioni anche nella prevenzione e gestione delle emergenze.
Per esplorare nel vivo il programma dell’evento ci guida Egidio Alagia (componente del Leadership team di SingularityU Legnano).
L’esplorazione del tema l’abbiamo suddivisa in due punti di vista:
La conoscenza di efficienti aziende del territorio sotto l’aspetto tecnologico e di produzione
“How to doit?”, i segreti dell’aspetto professionale dell’euro space e del mondo della ricerca.
Gli esempi locali
Partiamo con una realtà del nostro territorio, per la precisione CBS compositi avanzati di Magnago (MI). A presentarla è un imprenditore di seconda generazione, Stefano Peroni, guidato dalla passione e dagli insegnamenti del padre Luigi, fondatore dell’azienda nel 1989, con un’esperienza alle spalle nel campo della promozione della fibra di carbonio.
CBS inizia con una collaborazione con la Formula 1, producendone i primi particolati. Si intensificano le collaborazioni anche nel settore GT auto, anche sotto l’aspetto dell’estetica.
Nel 1997 con le prime certificazioni e la vicinanza ad altre realtà dell’Alto Milanese aumenta la richiesta dei compositi, anche nel mondo dell’aeronautica.
Dalle tecnologie per la strada e per i cieli si passa nel 2005 al settore Aerospaziale, con i primi pannelli piani che fungono da substrato nei pannelli solari montati sui satelliti. L’azienda cresce e prosegue coltivando e investendo in nuovi progetti ben più complessi.
L’esperienza nei diversi settori ha permesso di risolvere le maggiori complessità, e dalla produzione dei pannelli piani ci si è allargati alla fabbricazione di veri blocchi di satelliti.
Le proprietà del carbonio sono molto interessanti in questo settore, per la leggerezza, resistenza e per il coefficiente di idratazione prossimo allo zero. Esiste ancora un po’ di diffidenza su questo materiale perché la sua conoscenza non è così approfondita.
Dalla lavorazione artigianale del mondo dei laminati al settore delle lenti ottiche. Giuseppe Cilia, fondatore dell’azienda dal 1985, ci ha presentato la Optec S.p.A di Parabiago (MI), azienda di riferimento nel settore ottico, opto-elettronico e opto-meccanico, in Europa e nel mondo.
Optec è nata per l’applicazione nel campo della medicina, radiologia e chirurgia.
L’evoluzione delle tecnologie ottiche e la capacità di integrare parti elettroniche e meccaniche, ha portato a progettare e produrre strumenti usati in diversi campi (sistemi di sorveglianza di sicurezza, controllo di ispezioni di progetti, stampa di banconote e sistemi laser di alta potenza). Optec è riuscita così a differenziare i mercati spingendosi anche nel campo Aereospaziale.
La produzione parte da una progettazione ben studiata fino alla consegna del prodotto finito di: telescopi con alte prestazioni ottiche (progetto NEMO con telecamera a sei colori), polarimetri, sistemi ottici complessi, prismi, sistemi di laboratorio per il collaudo degli spettroscopi e sistemi multispettrali per lo spazio.
Questa intera avanguardia tecnologica proposta è tutta “Made in Italy”.
In conclusione all’intervento, Egidio Alagia riflette sull’importanza della connettività nel territorio sia sul piano produttivo che formativo, quest’ultimo non sempre un punto di forza delle aziende italiane.
Cilia conferma che la sinergia e la collaborazione sono punti in comune dell’attività di studio, ricerca e produzione e che permettono di superare diverse barriere. La possibilità della connessione e interscambio hanno portato a migliorare le tecnologie e il piano di formazione, consentendo alle nuove leve di migliorarsi giorno dopo giorno.
Nel cuore della Space Economy
Il terzo ospite delle serata è Cristina Leone, responsabile Projects, Grants and Agencies nell’ambito della Direzione Tecnica ed Innovazione di Leonardo. È Presidente del CTNA, Cluster Tecnologico Nazionale Aerospazio dal 1996.
In collegamento da Roma, ci fa entrare nel vivo della Space Economy.
Che cos’è il mercato dello spazio in Italia oggi?
Il CTNA è un polo di innovazione riconosciuto dal Ministero della Ricerca come interlocutore privilegiato per il mondo dell’aeronautica e dello spazio, comprensivo di dodici distretti tecnologici.
Il settore dello spazio conta di 250 aziende italiane di cui circa 150 sono il core business, con un totale di fatturato del 2018 di 1,6 miliardi di euro (un settore assolutamente importante).
Ultimamente c’è stata una spinta molto importante legata alla Space Economy. Ma che cosa è?
Essendo lo spazio un settore ad alta intensità di investimenti, occorre capire quali sono le ricadute dello spazio per i cittadini e sul mondo di tutti i giorni. Ad esempio i dispositivi elettronici, le nano tecnologie, i big data spaziali, sono nati nel contesto spaziale e sono diventate parte del mondo quotidiano.
I sistemi di stabilizzazione per il lancio dei satelliti, oggi sono utilizzati come sistema di protezione degli edifici contro i terremoti; i sistemi laser per il tracciamento dei ghiacciai su Marte, oggi sono utilizzati nel campo dell’archeologia.
Il percorso della Space Economy nasce negli anni ’60 quando Stati Uniti e Russia avevano deciso di inserire lo spazio come obiettivo per dimostrare di essere una superpotenza.
Oggi la Space Economy nel mondo vale 400 miliardi di dollari, nei prossimi anni si pensa che arriverà a mille miliardi di dollari. Quindi è assolutamente un’opportunità di business anche per molti miliardari privati.
Molti non sanno che anche in periodo di Covid-19, lo spazio è stato sfruttato. Le agenzie spaziali nazionali e anche la commissione europea hanno lanciato tante iniziative sull’utilizzo dei dati spaziali per il Covid. L’azienda GEOS, ha vinto un progetto monitorando dati da satellite su come è cambiato il mondo logistico nei porti per il trasporto merci. Si è riusciti ad analizzare e a capire quale è stato l’impatto economico andando a confrontare i dati dello scorso anno.
Tutto ciò è molto utile per il monitoraggio degli edifici, possiamo controllare negli anni che cosa succede nel tempo. Il mondo della Space Economy si è sviluppato in parallelo al mondo dell’IT, essendo capaci di gestire e analizzare numerosissimi dati raccolti.
Questa è una parte della Space economy, ovvero il punto di vista dall’alto che guarda la terra.
Manca tutto ciò che si fa in orbita. Ad esempio il viaggio per tornare sulla luna. Legato non solo ad implicazioni di tipo scientifico, ma anche legata all’occupazione per andare ad abitare in diversi pianeti. Capire come è possibile vivere e coltivare in un ambiente di micro gravità.
Oggi una società privata sta pensando a una stazione spaziale commerciale. Quale è il business?
Per esempio, in una situazione di micro gravità è più semplice fare Bio printing 3D di tessuti e di organi. C’è quindi una apertura anche nel campo della ricerca medicale verso queste nuove frontiere.
Oppure vi è anche una facilità nel generare delle leghe, poiché sulla Terra con la gravità, la solidificazione avviene molto più velocemente. Si è studiato, inoltre, che i cristalli di proteine vengono generati molto più grandi e di qualità migliore. È un business guidato dal sistema governativo nazionale ed internazionale. L’Italia è stato il primo paese che ha proposto un piano di Space Economy, preso poi in esempio dagli altri Stati Europei. Un primo programma che è stato lanciato si chiama Italgo Starcom; è un satellite di comunicazione nazionale che è stato messo in ordine per generare servizi per la pubblica amministrazione. Un programma innovativo sostenuto anche dalle Regioni le quali hanno avuto consapevolezza di quanto sia importante lo spazio.
L’importanza della formazione
Questa è un’industria ad alta intensità di innovazione. Se si vuole raggiungere un determinato risultato bisogna investire sugli studi per avere le giuste competenze tecniche dei giovani che si avvicinano al mondo spaziale.
Un tema che sta molto a cuore a Cristina Leone è quello delle donne che vogliono inserirsi in questo settore. Ci sono troppi stereotipi che ci fanno immaginare che questo non sia un percorso per donne. Vogliamo lanciare un messaggio positivo e di stimolo per tutte le giovani ragazze.
Un altro spunto di riflessione riguarda quella che possiamo definire una sorta di ‘umanizzazione’ di tutto questa tecnologia.
Con l’avvento dell’automazione della robotica stanno tornando di moda facoltà umanistiche rivolte a professioni scientifiche, proprio perché ti permettono di vedere le cose da punti di vista differenti. Ci sarà sempre il bisogno della componente umana di creatività ed empatia anche nei settori come l’Euro space.
Come consideriamo lo spazio?
Paolo Castiglioni è Socio Fondatore e Presidente di Space Experience Association, un’Associazione di Ricerca e Sperimentazione Scientifica e Tecnologica, un’Organizzazione attiva in partnership con le maggiori agenzie spaziali ed ha già collaborato con oltre 50 space explorers. La sua mission è quella di favorire lo sviluppo, la divulgazione e l’applicazione della ricerca, il technology transfer e processi formativi per le aziende e le organizzazioni in genere che sentono il bisogno di continuare a superare limiti ed andare oltre.
Lo spazio? È un avamposto di sperimentazioni complesse, dove bisogna ricominciare da capo poiché le leggi sono totalmente differenti dalle nostre.
Mai come in questo momento ci troviamo ad avere a che fare con l’INDETERMINAZIONE. Chi si occupa di spazio in maniera coscienziosa (come disse Kennedy nel 1962) si deve focalizzare nel parlare di ognuno di noi, dell’intera umanità, una parte integrante di questo “equipaggio”.
Questo è uno scenario di assoluta realtà, un luogo dove è necessario aumentare la conoscenza, per superare dei limiti. Limiti che una volta venivano vissuti a livelli orizzontale, vedi le conquiste sulla Terra dell’ignoto. Il desiderio di esplorazione c’è sempre stato, oggi però ha una direzione verticale.
Se gli astronauti sono riusciti a compiere delle missioni, significa che hanno saputo vivere e sopravvivere a impulsi e velocità nuove (8 km al secondo) e a temperature che oscillano tra -50 °C e i +200°C. Ciò significa aver esaminato nel dettaglio delle situazioni per poter dare delle risposte preventive a condizioni di criticità.
La coscienza ecologica
Il 24 dicembre 1968 gli Stati Uniti, con la conquista della Luna Apollo 8 Earthrise, è stata diffusa una primissima immagine dalla Terra scattata dalla Luna. Quella foto riuscì a convincere l’umanità della bellezza e fragilità del nostro Pianeta. Guarda caso, proprio in quegli anni si organizzarono i primi movimenti a difesa dell’ambiente.
Esaminiamo la peculiarità dello spazio, con un documento: La Charta degli astronauti.
È un documento nascosto che raccoglie la storia dei nostri astronauti Europei, con la visione di sviluppare e sostenere l’esplorazione umana pacifica dello Spazio attraverso l’unità della diversità e condividere lo Spazio con la popolazione Europea.
Ecco quindi la Charta degli Astronauti che è stata ideata ripensando al possibile “acronimo” di SPACE, mediante una declinazione valoriale:
Sapienza
Populus
Audacia
Cultura
Exploratio
Sapienza
“Crediamo che l’esplorazione spaziale umana sia una scelta di speranza, da e per l’umanità. Sapientiariflette il nostro impegno di perseguire i nostri obiettivi per il progresso dell’umanità.
Speranza, parola che viene avvicinata al concetto di umanità. Speranza e Sapienza riportano a un universalismo antico. La sapienza alla quale ci richiamano gli astronauti è un qualcosa che ci consente di guardare “dentro” per andare “fuori”.
Populus
“Consideriamo la gente al primo posto in due modi.
Lo scopo delle nostre missioni è quello di contribuire a un futuro migliore per la gente sulla Terra.
Populus incarna il nostro rispetto per la gente con cui lavoriamo: consideriamo le loro opinioni, apprezziamo il loro lavoro e li ringraziamo per il loro sostegno.”
Lo scopo delle missioni spaziali è quello di contribuire al miglioramento della vita dell’umanità intera e di coinvolgere ognuno perché sia possibile un’autentica e benefica evoluzione per gli abitanti della Terra.
Audacia
“Riconosciamo che il volo spaziale è un’impresa pericolosa. Nell’accettare i rischi insiti nei viaggi spaziali lavoriamo per ridurli al minimo, quando possiamo. Audacia ci ricorda che i riconoscimenti saranno senza precedenti se avremo successo.”
Lo spazio rappresenta uno scenario ostile per l’uomo e allora occorre mettere in campo la volontà e la determinazione di affrontare limiti e rischi. Affrontare i pericoli in modo avventuroso, con positività. Ma anche con molta accortezza.
Cultura
“Continuiamo l’esplorazione iniziata dai nostri antenati. Consci della nostra storia e delle nostre tradizioni, noi espandiamo l’esplorazione allo Spazio, trasferendo la nostra eredità culturale alle generazioni future.”
La storia ha definito la nostra cultura, le nostre tradizioni e quanto sia ricca la nostra eredità che seguitiamo a proporre, di generazione in generazione, affinché l’esplorazione extra-terrestre possa procedere nella direzione e nel rispetto di quanto conosciuto e condiviso a livello planetario.
Exploratio
“Riteniamo l’esplorazione una opportunità per scoprire, imparare e in fondo crescere. Siamo convinti che l’umanità debba abbracciare la sfida dell’esplorazione umana pacifica dello Spazio. Noi, astronauti Europei, siamo desiderosi di fare il primo passo.”
Nonostante le difficoltà logistiche, gli astronauti europei ne hanno compiuti di passi; in un contesto adatto alla sperimentazione, al modificare paradigmi e a compiere nuove esperienze ed opportunità.
Space Experience ha lavorato con 52 astronauti differenti.
Ha guardato sia al passato che al futuro; per andare nello spazio, agli astronauti serve tutto quello che abbiamo sulla Terra, beni essenziali e un luogo che ricongiunga le tante culture intorno a una mentalità spaziale, che vuol sempre dire ripartire da zero.
Se quindi riusciremo a sfuggire dalla troppa cristallizzata compartimentazione dei saperi, se riusciremo a trovare in qualche modo limiti alle presunzioni, ai preconcetti, ai pregiudizi, ma guarderemo la parte migliore di noi, allora sì che le collaborazioni diventeranno trasversali, totalizzanti e planetarie. Senza più guardare quelle che possono essere le bandiere e quelli che possono essere gli interessi, ma guardando alla vicenda planetaria.
“Essere nello spazio? È come vivere in un film”
È arrivato il momento più atteso. Paolo Castiglioni ci presenta in diretta da Washington l’astronauta Roberto Vittori, nonché pilota militare e astronauta.
Vittori può vantare tre missioni nello Spazio ed è oggi Generale di Brigata Aerea dell’Aeronautica Militare Italiana con incarichi speciali in campo aerospaziale. Una carriera costellata di successi in ogni ambito, che lo ha visto anche operare come pilota collaudatore e sperimentatore, oltre che come docente.
“Arriva il giorno del lancio e l’ascensore ti porta in cima al razzo alto 55 metri, a quel punto entri all’interno di questa capsula strettissima, tutta buia, con all’interno altri Cosmonauti. A un certo punto si connette la corrente al sistema e iniziano tutte le procedure verso il conto alla rovescia, che vivi in maniera particolare per la prima volta dopo mesi e anni di preparazione. Quando la porta si chiude, la missione è tua (perché fino al momento in cui non sei all’interno del razzo tu potresti essere sostituito dal tuo backup).”
“Accensione dei motori… E poi accade quello che mai avresti pensato potesse accadere; per passare dalla superficie terrestre allo Spazio sono 8 minuti e 40 secondi. Una sensazione molto particolare, a differenza se sei all’interno della navicella Soyuz o nello Shuttle. Nel primo caso non vedi nulla ma senti all’interno l’effetto accelerazione più che velocità; lo shuttle invece è un po’ ‘un aeroplano’, quindi quando sei seduto e appoggiato sulla schiena guardi verso l’alto.”
“Ècome vivere in un film, quando senti questa spinta enorme sulla schiena e vai verso l’alto con una velocità incredibile.Passi da 0 a 27.000 km all’ora, in otto in otto minuti e pochi secondi.”
“L’effetto incredibile poi quando i motori si spengono improvvisamente e tutto diventa silenzio e stai galleggiando tra il sedile e la cinghia. Il vero effetto lo puoi scoprire solo quando ti sleghi.
Vedi il tuo compagno di viaggio col viso rosso e un po’ gonfio. Siamo già arrivati in microgravità e non vi è addestramento che tenga per sapere in anticipo il modo in cui il fisico del singolo individuo possa reagire, bisogna solo essere pronti a risolvere qualsiasi reazione in tempo reale.”
Un racconto dettagliato ed emozionante raccontato dal nostro ospite d’eccezione, il quale ci ricorda i valori dettati dalla Charta degli Astronauti, ma anche il valore importante della famiglia.
Quando si è “galleggianti” con lo sguardo rivolto alla Terra, non si può pensare altro che al futuro. Si guarda la bellezza, l’effetto tridimensionale mozzafiato, i colori dei deserti, dei mari e delle montagne, e si pensa ai figli e alle future generazioni. Lo Spazio in effetti non è solamente bello e fine a sé stesso, ma è la salvezza dell’ecosistema terrestre; lo Spazio è l’opportunità.
Parlando dal lato della Space Economy, lo Spazio è considerato il prossimo settore in grado di superare il trilione. Ma non solo, in realtà oltre ad aumentare esponenzialmente la ricerca scientifica e tecnologica medica, esso diventa strumento di sicurezza e difesa.
Parallelamente c’è il filone della Space Economy dei privati, i quali oltre a farsi gara su chi è il più milionario, puntano pesantemente allo Spazio, dove le risorse sono infinite. Casualità?
Occhi aperti e mente libera
Marco Potenzaè professore di Ottica presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Milano, dove svolge la propria attività di ricerca sullo sviluppo di strumentazione ottica innovativa.
Scopriamo come si studiano le proteine nello spazio e quali saranno le applicazioni sul nostro pianeta.
Quando si legge che qualcosa è stato scoperto per caso, in realtà molto spesso dietro a quel caso c’è qualcosa che non ha funzionato. Entra in gioco la capacità e l’arguzia di qualcuno che cerca di capire che cosa stesse andando diversamente dal solito. Ciò porta di solito alla scoperta, chiamata “scoperta per caso”.
Lo studio del progetto parte da un emerito professore di Amsterdam, il quale aveva proposto la realizzazione di alcuni esperimenti per lo studio di sospensioni liquide di particelle particolari (poco più grande degli atomi) che poi portano anche allo studio dell’interazione delle proteine.
L’idea di base era di usare un liquido speciale che in condizioni di assenza di gravità permettesse di sviluppare delle forze che cambiano al variare della temperatura, cosa che sulla Terra al momento non sarebbe possibile fare. Questa è stata la base del ragionamento che ha portato avanti lo sviluppo degli esperimenti che poi sono stati svolti nello spazio.
Nel 2003 l’Agenzia Spaziale Europea ha scelto come candidata per la tecnologia per svolgere questo esperimento proprio una tecnica sviluppata all’Università di Milano. Tecnica che era nata prima del 2000, grazie a un professore che aveva usato l’approccio dell’errore citato in precedenza.
C’era qualcosa che non andava e si scoprì che era un fenomeno nuovo, con il quale si sono costruiti strumenti nuovi.
Il 12 settembre 2010 lo strumento viene installato sulla stazione spaziale. Arriva a raccogliere fino a un milione di immagini fuori fuoco, dalle quali si ricavano le informazioni relative a queste nanoparticelle grandi un millesimo del diametro di un capello. Interagiscono e si formano a seconda della temperatura a cui vengono sottoposte formando strutture cristalline, come succede con le proteine.
Anni di lavoro che ci hanno insegnato come dominare le forze, anche per il futuro. In diversi campi come la medicina e la farmaceutica, per poter essere anche in grado di riprodurre i fenomeni che avvengono nel nostro metabolismo e altri completamente nuovi.
Questo era il pezzo del puzzle mancante: il mondo della ricerca scientifica.
Mondo legato alle difficoltà dei rischi e della sperimentazione che guarda con positività al futuro.
Così si conclude l’ultima serata di SingularityU Legnano Chapter, dalla sede virtuale di The Zen Agency. Abbiamo parlato a 360° del mondo della Space Economy e sicuramente non è stato abbastanza. Abbiamo raccolto testimonianze di grandi realtà del territorio, studiosi e ricercatori in prima linea. Una coalizione di professionisti che ci hanno aiutato a capire come lo Spazio sia molto vicino a noi e come tutte le attività rivolte a esso siano tangibili anche sul nostro pianeta.
FDO – For Disruptors Only chiude il 2020 parlando di brand activism, scelte e responsabilità, in azienda e non solo.
Che anno, il 2020. Abbiamo iniziato a parlare di Disruption nel 2018: prossima volta, anche meno.
Per la data conclusiva dell’anno – avremmo preferito evento conclusivo dell’anno – abbiamo deciso di parlare di brand activism, Corporate Social Responsibility e sostenibilità.
Quello che seguirà non sarà né un riassunto della serata né quello che mi hanno trasmesso i relatori. Mi piace immaginarlo come una sorta di highlights, come le azioni più importanti della partita, condensate in pochi minuti oppure, nel nostro caso, in poche righe.
Prendilo come il mio personalissimo take-away da offrirti, per tutti il resto c’è il video della serata on demand.
Introduction to Disruption
Si parte con la consueta “Introduction to Disruption” di Riccardo Bovetti: adottare comportamenti responsabili spesso produce risultati sostenibili. Con la virgola prima o dopo la parola “spesso”. Perché qui cambia tutto eh.
Da un punto di vista filosofico-scientifico-matematico, Jeremy Bentham con la sua teoria utilitaristica.
Anno dopo anno ci si è resi conto che il tema non è solo l’utilità del singolo ma l’impatto sociale a contare davvero. Fino ad arrivare a Pareto: il punto di equilibrio è quando non esistono più mosse possibili che non vadano a discapito di un peggioramento per uno degli attori. Super, as usual.
“Ridere con”, non “Ridere di”
Parliamo dell’importanza delle scelte, delle nostre scelte: palla a Germano Lanzoni.
Germanoha portato la sua testimonianza raccontando il progetto HBE – Human Business Entertainment. Cosa significa utilizzare la comicità in modo responsabile?
Quando si ha a che fare con una community comica, si parte sempre da una regola: si ride se chi partecipa conosce lo scenario di riferimento.
La vittima è vittima, il comico si collega portando avanti quella che è l’astrazione di sensibilità.
La comicità è responsabilità di chi crea l’azione comica: serve ridere con la vittima, non della vittima.
Si parte dallo stesso punto, ma l’arrivo è molto diverso. Questo è Human.
La persona che viene coinvolta dalla battuta deve essere messa a proprio agio, serve rompere la tensione includendo la vittima, non allontanandola. Lo stesso si applica ai brand, raccontando le criticità risolte dalle aziende, mettendo a proprio agio tutte le persone che vengono coinvolte nella dinamica.
Quando si cammina si lasciano tre impronte: persona, mestiere e personaggio.
Per le aziende, vale lo stesso: vision, mission e prodotto.
Oggi HBE è un hub creativo con oltre 20 artisti, il valore dello scambio è incalcolabile.
Prendere un brand e svilupparne il valore utilizzando comicità responsabile. Quanto è Human tutto questo?
Chiara Bacilieri fa una domanda a Germano molto interessante:
Si può allenare l’empatia?
La battuta non è mai solo una battuta: dobbiamo sempre ricordarcelo. Ci sono limiti che non vanno mai presi sottogamba, non possiamo conoscere tutto di chi ci ascolta.
Noi come esseri umani siamo allergici all’immobilità e alla stupidità. Ricordiamocelo sempre.
L’ironia ci fa accettare i nostri limiti, se li accettassimo saremmo più propensi ad accettare quelli degli altri.
Le diversità sono i punti di forza, ci rendono unici e inimitabili.
Etica, struttura e design
Tocca a Luca Vergano, direttamente da New York, parlare di brand activism.
Luca è VP e Strategy per Elephant, si occupa da vent’anni di strategia, marketing, innovazione. Ha sviluppato gli ecosistemi digitali per brand come Apple, Nissan, Nike, Adidas e Comcast. Ha lavorato in quattro continenti e vinto premi internazionali. Ascoltiamolo.
La scelta individuale di un’azienda è come sa dare capacità di agire alle persone. Per partire, serve chiarire il proprio ruolo impegnandosi in prima persona.
Etica, struttura e design: sono queste le tre leve per un’azienda per andare verso scelte sostenibili.
Etica: Nike si è schierata con BLM, la loro influenza sulla cultura di quelle specifiche comunità è enorme. Questo è senso di responsabilità, avere impatto significa provare a far pensare le persone in modo diverso.
Non è solo disruption rigenerare il proprio prodotto o servizio, ma essere capace di generare un pensiero diverso.
Struttura: ok, come? Cultura, oppure attraverso i prodotti e servizi, o l’organizzazione stessa dell’azienda.
La responsabilità delle aziende è ovviamente connessa alle infrastrutture in cui vivono. Adidas sta facendo uno splendido progetto partendo dalla plastica riciclata, ad esempio.
Design significa non rendere una struttura sostenibile solo dal punto di vista dell’output, ma di come l’azienda è costituita. Le aziende sono le infrastrutture economiche della nostra vita: non serve per forza immaginare rivoluzioni, ma disegnare il cambiamento e lo sviluppo in modo sostenibile. Ci torneremo lungo l’evento.
La sfida? Applicare tutto questo all’economia delle PMI, non è realistico chiedere lo stesso impatto o esposizione di una grande multinazionale. Riuscire a renderle protagoniste di questa rivoluzione è la grande sfida. Oggi non basta più non-creare-impatti negativi, questa è la condizione minima, oggi il tema è cosa fare di positivo. Come raccontato in modo perfetto dal video del progetto: “The Lion’s Share”, cercalo su YouTube.
La sostenibilità non è noiosa, anzi
Come disse il Subcomandante Marcos: “Mi dispiace per il disagio, ma questa è una rivoluzione”.
Andiamo sul prodotto con Simon Giuliani, Global Marketing Director di Candiani Denim.
Parliamo di jeans.
Come rendere sostenibile un prodotto percepito come lontano dal mondo della sostenibilità?
Candiani Denim è molto attenta alla sostenibilità sociale e ambientale, oggi viene chiesta anche la misurabilità (no-bullshit, please). Nasce a Robecchetto con Induno, azienda alla IV generazione.
Considerata leader nel campo dell’innovazione sostenibile, è perfettamente in sintonia con la natura del Parco del Ticino all’interno del quale è insediata quella che oggi è la fabbrica più grande in Europa nel settore “denim”.
Oggi il tema è fare arrivare il messaggio della sostenibilità ad un pubblico finale sempre più interessato a questo aspetto. Perché la sostenibilità non è boring, anzi. Può costare uguale, essere più bella e performare anche meglio.
Oggi il consumatore pone due grandi domande: Come è stato prodotto? Dove è stato prodotto?
Come: la qualità dell’indumento è direttamente proporzionale con l’impatto che ha il denim a fine vita. Se prodotto male, l’impatto con l’ambiente sarà molto molto negativo.
Negli ultimi 10 anni siamo passati da 75 miliardi di pezzi di indumenti realizzato per 7 miliardi di persone (di cui circa solo 1.5 con capacità di spesa) a più di 150 miliardi di pezzi. Di questi, 25 miliardi vengono distrutti prima del loro utilizzo (25% inceneriti, 75% in discarica).
Dove: la globalizzazione ha permesso di spostare la produzione dall’Europa (regolamentata) al Far East (dove le regole sono – diciamo – più morbide).
Il carbon footprint l’altro grande tema: spostare un pezzo da lavorare tra Paesi diversi ha un impatto logistico molto molto forte.
L’ultimo brevetto di casa Candiani si chiama Coreva, il primo jeans senza elastomero sintetico, sintetizzandolo con una sostanza naturale proveniente da albero (caucciù).
Prodotto compostabile, bio-degradabile, non tossico: il primo prodotto circolare nel settore del denim. L’ultimo ambizioso progetto è dedicato al nuovo Store di Milano, dove si vuole comunicare la sostenibilità e l’innovazione di prodotto, direttamente B2C per aumentare l’awareness.
Obiettivo: motivare la scelta che dovrebbe spingerti verso il denim “premium”, utilizzare l’informazione per sensibilizzare un utente verso una scelta diversa dal fast fashion e più consapevole.
Più facile farlo che dirlo, per questo motivo questo punto vendita sarà una vera micro-factory dove l’utente potrà scegliersi il tessuto, il modello, il tipo di lavaggio, i bottoni e quali fili: a quel punto il jeans verrà prodotto, direttamente in negozio, così da visualizzare il ciclo di produzione, dove tu sei protagonista.
Sarai tu il designer, il creativo che si rivolge a dei makers. Il concetto delle “cucine a vista” applicate al denim, un progetto mai visto.
Perché se potrebbe sembrare normale chiedersi: “cosa succede se non funziona?”, un disruptor si chiede, invece: “cosa succede se funziona?”.
Qui la tecnologia la farà da padrone affiancando le persone impiegate con macchine di ultima generazione, tutte Made in Italy. Perché il Made in Italy secondo Simon ha ancora una chance, però è l’ultima chance.
Il Company Workout di Amplifon
Alessio Biancheri è Global Talent Associate Director di Amplifon. Con lui portiamo il tema della sostenibilità all’interno delle persone, all’interno delle organizzazioni. Perché anche un’azienda retail può e deve affiancarsi al tema della sostenibilità.
Quello che hanno deciso di fare, è studiarla abbinandola alla disruption del mercato del lavoro.
Oggi il mercato del lavoro vive un gap, tra quello che si studia e quello che viene richiesto dalle aziende.
Le organizzazioni si trovano ad avere un ruolo nuovo, forse involontariamente, ma devono garantire la sostenibilità del mercato del lavoro del futuro.
L’employability nel medio e lungo termine chiede di capire cosa fa la differenza per rimanere attrattivo, a prescindere dall’azienda di appartenenza, sul mercato del lavoro.
Oggi chi ha startup di successo ha età tra i 35 e i 45 anni: molto spesso chi porta innovazione e ha una nuova idea è perché ha avuto un percorso in determinate aziende e ha saputo imparare a individuare le opportunità e farne bagaglio.
L’azienda oggi è un elemento fondamentale del percorso formativo di ognuno. Oggi le persone devono rimanere competitive nel mercato del lavoro, non solo all’interno dell’azienda. Devono diventare multi-potenziale, trasversali, ogni decisione ha effetti a catena anche sulle aree funzionali circostanti da quella di appartenenza.
Dobbiamo chiederci quali possono essere le possibili interazioni tra i vari rapporti? Questo permette di immagazzinare competenze e uscire dalla propria zona di comfort.
Quello che Amplifon chiama: “Company Workout” è il vedere la realtà aziendale come una sorta di palestra dove andare a esercitare competenze funzionali e interpersonali. Questo è applicabile a tutti i lavoratori.
Essere una multinazionale aiuta, permettendo alle persone di lavorare con persone di paesi anche molto distanti, questo porta ad un understanding migliore di persone che possono pensarla in modo anche molto, molto diversa da noi. L’obiettivo comune, alla base, permette il coordinamento generale di così tante idee.
Lo sviluppo di network è fondamentale, per rendere questa tipologia di esperienze una vera quotidianità.
Questo permette alle persone di rimanere competitive e pronte: il 2020 ci ha messo davanti a un mondo in continuo cambiamento. La learning agility è una skill diventata fondamentale. Permette di rimanere attrattivo non solo per l’azienda dove si lavora, ma per l’intero mercato del lavoro.
Sono quattro aree di studio: awareness, digital, connected eleading.
“Global onboarding” per creare network e confronto, portare le persone a fare attività non-ripetitive e avvicinarle al mondo digitale, per avere un digital mindset, digital workplace, conoscere la digital transformation. Avere comprensione della disruption digitale: la consapevolezza permette alle idee di nascere e generare innovazione. Per far sì che tutto questo funzioni, i manager devono essere i facilitatori dello sviluppo delle persone all’interno del loro team.
Chiara Bacilieri pone una questione: come sarebbe se un domani queste competenze possano essere un compendio del proprio CV, che possano essere portate dietro dalla persona come completamento del proprio percorso?
Oggi ci si sta già muovendo in questa direzione, per andare oltre il perimetro aziendale, e permettere alle persone di non lasciare le proprie skills solo all’interno delle aziende nelle quali sono maturate. Utilizzando anche tecnologie innovative, come ad esempio la blockchain.
Le realtà di successo non si focalizzano nel “riparare” le persone ma individuano i talenti individuali e le singolarità, focalizzandosi sui punti di forza. Le persone che potranno valorizzare i propri talenti saranno molto più performanti. La disruption esiste anche nel recruitment, eccome.
La tavolo rotonda
Tocca al “round-table”, tra la Sicilia e l’Isola d’Elba, due territori meravigliosi.
Per moderarla, il benvenuto di FDO a Ilaria G. Neirotti, all’interno di EY accompagna piccole e grandi aziende multinazionali nel loro percorso di comprensione e sviluppo di un business sostenibile per l’azienda stessa, le persone e la società. Partiamo.
Norman La Roccaè Direttore Marketing, Comunicazione e CSR per Acqua dell’Elba. Ha ideato e coordinato SEIF – Sea Essence International Festival, il primo festival sulla tutela e la promozione della bellezza del mare e l’ideazione di Elba2035, progetto di ascolto e ingaggio dei principali attori dell’Isola d’Elba volto alla costruzione di una visione condivisa di futuro per il territorio.
Acqua dell’Elba è un brand da sempre molto vicino al mondo della sostenibilità e della CSR, soprattutto per e verso il suo territorio. Esempi, valorizzando i circuiti di trekking dell’Isola d’Elba, oppure il primo Bilancio di Sostenibilità (2017).
Mai come oggi, prima di raccontare devi essere.
L’obiettivo è stare vicini allo spirito del tempo, ascoltando le persone per capire le loro sensibilità.
Elba2035 è un percorso di consapevolezza, intanto quello che può fare un’azienda è purtroppo limitato.
Con questo progetto si è voluto capire come coinvolgere altri soggetti in un percorso comune, per costruire un futuro sostenibile di un intero territorio.
Sette sindaci, altre aziende pubbliche e private, associazioni e studenti insieme per farsi una domanda: come vogliamo che sia questo territorio tra 15 anni?
Ilaria centra il punto: la sostenibilità di un’azienda è inevitabilmente connessa con la sostenibilità di un territorio. Quali sono le preoccupazioni oggi? I punti deboli sui quali lavorare…
Per Norman, la capacità delle persone di fare sistema, di lavorare insieme, qualcosa di tipicamente italiano. L’obiettivo è la stesura di un Manifesto, che possa essere un punto di partenza per fare nascere dei progetti da qui ai prossimi 15 anni.
Andiamo in Sicilia, da Corrado Paternò Castello. Lui arriva dal mondo della consulenza, alla fine di questo percorso va in Tunisia per gestire un progetto dedicato alla sostenibilità in agricoltura. Il lockdown (2020, appunto) lo riporta in Sicilia e si avvicina alle nuove sfide di un settore molto tradizionale: Boniviri nasce così.
Troppo spesso ci si è concentrati sulla filantropia sociale oppure sulla gestione delle esternalità negative, oggi si va finalmente verso la creazione del valore (società benefit, startup innovative, investimenti di impatto…).
La creazione del valore si può chiamare, semplicemente, impatto.
E l’impatto ha caratteristiche molto precise: intenzionalità, misurabilità, addizionalità.
Si parte dall’osservazione dei problemi, pianificazione e, infine, all’execution. Troppo spesso prodotti eccellenti fanno fatica ad arrivare sul mercato, per una serie di difficoltà croniche.
Boniviri utilizza la chiave della sostenibilità e della qualità per coordinare, attraverso un’agenda di impatto, le realtà agricole del territorio per conseguire questi obiettivi: salvaguardare le aziende agricole del territorio, creare prodotti carbon-neutral (calcolando le emissioni dell’intera filiera), sviluppo di un prodotto eco-friendly partendo dal packaging per farsi guidare dalla sostenibilità e non dal gusto estetico. Partendo dall’olio come core business.
Quali sono state le principali difficoltà incontrate?
Vivendo la campagna ci si rende conto che gli strumenti di raccolta dati stridono a volte con la quotidianità del lavoro. È importante impostare la supply-chain da subito, per questo confronto e dialogo con i produttori diventano aspetti fondamentali per la riuscita del processo. Grande aiuto dal far rete con l’Università di Catania, al fine della stesura dei questionari.
Ilaria torna da Norman sull’Isola d’Elba: come gestire l’equilibrio tra l’identità delle persone isolane con i visitatori, ad esempio come e se è stato affrontato il tema del turismo sostenibile. Come sarà il turista che verrà nel 2035?
Per Norman sarà un turista molto più attento di come lo siamo oggi. Perché la coscienza di sostenibilità sta aumentando con attenzione verso temi che prima non erano molto considerati.
Potrà esserci contaminazione, partendo da questo progetto, su altri territori italiani?
Non è impossibile, perché puoi vedere in questo progetto un’idea sperimentale che nasce in un territorio dove tutti sanno di essere della stessa partita. Norman è sicuro che dall’ascolto delle persone nascerà un progetto che potrà diventare replicabile in tanti territori. Con il sentimento che si unisce alla tecnica, tutto diventa più facile.
Corrado chiude sulle implicazioni sociali di una startup all’interno di una Regione complessa come la Sicilia. Portare creatività, innovatività, fattori oggi ancora troppo assenti.
In Sicilia aspetti come il cambiamento climatico sono problemi veri. Se a novembre fa caldo non si pensa al bagno al mare, ma che senza acqua l’agricoltura soffre.
Il ruolo di Boniviri è garantire entusiasmo e giusto prezzo: tu fai il prodotto eccellente come sai fare, a piazzarlo ci pensiamo noi. Fondamentale è raccontare le storie, dare dei volti.
La conclusione di Chiara Bacilieri si focalizza su come sia cambiata nel percepito l’importanza delle tematiche emerse oggi. Oggi la sostenibilità è passata da appartenenza e stima (citando la piramide di Maslow) a qualcosa di essenziale. Di primario, come fosse la sicurezza.
Per chiudere, il parere di Luca Vergano. Secondo lui la sostenibilità dipende da due cose: curva di istruzione delle persone sul tema e curva di sviluppo del Paese a livello strutturale. Basta prendere ad esempio gli Stati Uniti per vedere come i bisogni possano svilupparsi in due poli completamente diverse tra le aree costiere e metropolitane e quelle più centrali e periferiche.
È stata una bellissima data di FDO – For Disruptors Only, probabilmente con gli stessi contenuti avremmo potuto fare due eventi.
Siamo partiti con l’obiettivo di parlare di consapevolezza, di responsabilità delle scelte, tematiche che il 2020 ha imposto come urgenti e necessarie.
Neanche il progetto FDO è rimasto uguale a sé stesso in questo 2020, quello che posso anticiparti è che non rimarrà uguale a quello che hai visto neanche nel 2021.