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TikTok, cosa c’è veramente dietro il social network del momento?

Esiste un mondo parallelo al nostro, quello da cui entriamo grazie a Internet e attraverso lo smartphone, in particolare.

Dei primi dieci in questa speciale classifica, sette sono siti cinesi, pensati per il mercato interno del paese asiatico e frequentati praticamente solo da cinesi.

Scorrendo la lista troviamo molti altri siti cinesi e nessuno si rivolge a un pubblico internazionale. I motivi li possiamo intuire e sono politici (in Cina c’è una delle censure digitali più severe al mondo), culturali e linguistici.

Tra i social media, però, c’è una app di produzione cinese che negli ultimi anni si è fatta largo tra i big del settore per numero di iscritti e numero di download su scala internazionale. Parliamo ovviamente di TikTok.

Si dice che sia un social network che si rivolge ai creativi più giovani, teenager, ma c’è anche chi pensa che sia solo una questione di maturità del canale e che col passare del tempo lo useranno tutti, anche gli adulti. Per ora, i dati ci dicono che tra i creators più seguiti, in Italia, ci sono solo dei ragazzini:

TikTok è più volte finito sotto accusa, negli Stati Uniti (addirittura sulla questione privacy dei più piccoli) come in Italia, per la poca trasparenza sulla gestione dei dati personali degli utenti.

A preoccupare non è solo la privacy ma anche la destinazione e come vengono utilizzati i dati degli utenti.

Dobbiamo sapere cosa accade e se ci sono pericoli” ha detto Antonello Soro, presidente dell’autorità garante per la protezione dei dati personali, sul social cinese.

La domanda che mi faccio è: come mai un social media ‘cinese’ si è aperto per la prima volta, così tanto e proprio ora, alla diffusione oltre la muraglia?

TikTok si sta facendo molta pubblicità non solo in rete, ma anche offline. Ha fatto ‘rumore’ la presenza di un suo spot pubblicitario tra quelli, costosissimi e dalla grande visibilità, visti durante il Super Bowl 2020, la finale del campionato di Football americano, l’evento televisivo più visto negli Stati Uniti.

A pensar male si fa peccato, ma l’interesse politico che c’è intorno a strumenti di influenza di massa, come Facebook, Twitter e compagnia, non può non farmi pensare che ci possa essere qualcosa di poco chiaro dietro la grande diffusione di TikTok. Complottismo? Forse, ma qualche indizio c’è e vorrei condividerlo.

In principio fu un viaggio sul Risciò

Per saperne un po’ di più sulla Cina, sono partito da un podcast giornalistico che si chiama ‘Risciò’, realizzato da Giada Messetti e Simone Pieranni, due profondi conoscitori di questa grande nazione.

Negli episodi del podcast dal titolo ‘La nuova via della seta’ e ‘Il Sogno Cinese’, si parla della visione politico-strategica, un progetto già avviato che ha l’obiettivo quello di far diventare la Cina il paese guida a livello mondiale, soppiantando in questo ruolo gli Stati Uniti e l’Europa.

Al centro del piano cinese c’è la diplomazia, ma non quella basata sul controllo, sul modello americano, ma sul consenso. Per guadagnare questo consenso, la Cina, attraverso le azioni di governo e le sue molte grandi aziende, tutte in qualche modo controllate dallo stato, sta aiutando altri paesi in difficoltà, investendo in zone del mondo in forte crescita e dispensando contribui senza chiedere niente in cambio dal punto di vista politico, ma guadagnando in riconoscenza e apprezzamento. Un modello ‘win-win, da cui, teoricamente, tutte le parti traggono dei benefici.

L’azienda che ha prodotto TikTok si chiama ByteDance, su Wikipedia viene definita come ‘multinational internet technology company’ e ha sede principale a Pechino. Mi riesce difficile pensare che un’azienda cinese si possa definire ‘multinazionale’ nel modo liberista in cui concepiamo questo termine in occidente, e che lo stato non eserciti un qualche tipo di controllo, ingerenza o addirittura guida.

Parliamo dell’azienda che ha in mano il social network, TikTok, che nel momento in cui scrivo ha 800 milioni di utenti attivi in tutto il mondo, con il 41% degli iscritti che ha un’età compresa tra i 16 e i 24 anni.

Data la premessa di strategia e visione politica raccontata nel podcast Risciò, è così strano pensare che TikTok possa farne parte attivamente?

L’importanza dei social media nel condizionare le opinioni, anche politiche, della gente, è uno degli argomenti più caldi da quando sono diventati uno dei principali strumenti di propaganda e di investimenti in comunicazione di leader politici e partiti. Le entrate pubblicitarie di Facebook aumentano considerevolmente nei periodi in cui ci sono delle elezioni politiche, sappiamo che non è un caso.

Un strumento di condizionamento di massa?

TikTok ha aperto le porte di una piattaforma social Made in China al mondo occidentale e ha scelto come target i giovanissimi, gli adulti di domani, quelli che prenderanno le decisioni e condizioneranno, a loro volta, le opinioni dei più giovani.

Un paese che sta investendo tantissimo in data center e intelligenza artificiale per controllare tutto quello che è possibile controllare grazie ai Big Data e le tecnologie esponenziali, ha sicuramente considerato anche la questione ‘social media’, e non solo quella interna.

TikTok è il canale social del momento, quello in più forte ascesa, ed è iniziata la corsa alla presenza e al presidio di questa nuova community. Ma se è vero che oggi alle aziende viene chiesto di prendere una posizione rispetto ai grandi tempi della vita di tutti, dovrebbero essere consapevoli di dove stanno andando a pubblicare i loro contenuti. Quanto meno, dovrebbero prima farsi delle domande.

Chiediamoci perciò a cosa serve veramente TikTok, dove vanno a finire i dati personali degli iscritti e per cosa vengono usati.

Mentre ci stiamo preoccupando della pagliuzza, come la presunta pericolosità per la privacy della app di contact tracing Immuni, chiediamoci se magari non ci stia per arrivare nell’occhio una trave.

Click o secondi? Il valore del tempo nel web marketing

Esiste un mondo parallelo al nostro, quello da cui entriamo grazie a Internet e attraverso lo smartphone, in particolare.

Dopo l’abbuffata della quarantena, qual è ora il nostro rapporto con Internet? Torneremo a passarci un quarto della nostra giornata, come succedeva prima del Covid-19?

La rete è stato il nostro salvagente nei due mesi del lockdown, e continua a esserlo per molti di noi che lavorano in remoto o in smart working. Di che tipo è, oggi, la relazione col nostro smartphone, di rigetto da indigestione o di ritorno alla normalità?

Mi faccio questa domanda dopo aver letto un dato interessante pre-Covid, fonte Deloitte (2019): i due terzi degli intervistati in questa ricerca, tutti adulti degli Stati Uniti, dichiaravano di “cercare di limitare l’uso personale degli smartphone”, con un netto aumento rispetto all’anno precedente.

Un altro risultato della stessa ricerca mostrava come il tempo trascorso ogni giorno sui social media sembrava aver raggiunto un limite che da tre anni non veniva più superato.

Possiamo considerare questo un piccolo segnale?

Ok, si parla del 2019, sono gli Stati Uniti e non l’Italia… Però è sempre agli Usa che guardiamo quando si parla di tendenza, perciò qualcosa vorrà pur dire.

Se restiamo in casa nostra, possiamo trovare un altro indizio: secondo un’altra ricerca, tra i temi di cui gli italiani si preoccupano di più quando sono online c’è anche l’utilizzo di sistemi/app per il tracciamento dello “screen time” sui dispositivi mobili.

Saranno i genitori che si preoccupano di quanto tempo passano i figli attaccati ai telefonini, ma è probabile che ci siano anche molte persone che cercano di limitare il tempo che passano online per dedicarlo ad altro (e ad altri).

Durante la quarantena abbiamo scoperto quanto ci sia di buono nella tecnologia. Invece di usarla per cazzeggiare e basta, abbiamo capito quanto ci può essere utile per fare le cose importanti: comunicare con i nostri cari, lavorare, fare la spesa, studiare… E magari farci risparmiare del tempo prezioso.

Quanto vale il nostro tempo?

Dopo aver avuto un periodo per riflettere, forse ci siamo resi veramente conto di quanto valga il nostro tempo, quello speso nella vita reale, non virtuale.

“Il tempo è una proprietà che si riferisce esclusivamente all’universo che Dio ha creato. E presumibilmente, quando lo creò, Egli sapeva ciò che voleva fare!” -Stephen Hawking

Forse, passare un quarto della nostra giornata con la testa china sullo smartphone è qualcosa che non va bene e che vogliamo cambiare.

Il podcast ‘Equlibrio Digitale’, già tre anni fa, aveva iniziato a parlare di come usare la tecnologia senza diventarne schiavi.

“Smartphone, email, social media, app sono strumenti che possono aiutarci a vivere meglio, a farci stare persino più in salute, purché li usiamo e non ci facciamo usare” dice la descrizione del podcast di Luca Conti.

Da qui, nasce una riflessione che riguarda il tempo, quello di ognuno di noi, e del valore che ha per chi si occupa di comunicazione e web marketing. Perché si parla tanto del valore dei dati, dell’importanza dei Big Data, ma alla fine quello che tutti i comunicatori vogliono è catturare la nostra attenzione, qualche minuto della nostra vista.

Dai click ai secondi: come cambia il web marketing?

Di recente, ho letto che l’algoritmo di Linkedin ha cominciato a favorire i contenuti su cui si passa più tempo all’interno della sua piattaforma. Un occhio di riguardo a chi si ferma a ‘consumare’, quindi, al tempo trascorso come indice di qualità (=capacità di conquistare la nostra attenzione) di quello che si sta leggendo o guardando.

Anche Medium, nel suo piano di remunerazione degli editor che contribuiscono a popolare di contenuti il sito, ha iniziato a dare meno importanza ai suoi caratteristici ‘claps’, gli applausi virtuali concessi per manifestare il proprio apprezzamento, e di più al tempo spesso sui propri articoli.

Se in effetti sta aumentando la consapevolezza di quanto tempo lo smarphone e Internet stanno ‘rubando’ alla nostra vita, allora dobbiamo riconsiderare il mondo in cui vengono pensate le strategie di web marketing. Meno tempo speso online, vuol dire minore possibilità che i contenuti siano letti o che la pubblicità siano viste.

Tutto diventerà ancora più selettivo, l’asticella della creatività dovrà salire ulteriormente per riuscire a catturare fiducia e attenzione di navigatori sempre meno disposti a sprecare il proprio tempo.

Sarà la fine di tutto ciò che è autoreferenziale, al centro della produzione dei contenuti dovranno averci sempre di più le persone.

Guadagnarsi un lead costerà molta fatica e bisognerà mantenere le aspettative, perché chiedere a una persona di spostarsi sulla propria pagina di atterraggio dovrà valerne la pena.

Design e arredamento: la tecnologia è la grande opportunità

Ne hanno parlato importanti player del mercato nella Mission Two di SingularityU Legnano Chapter. Dal White Paper “DesignTech for future’, una tavola rotonda sul futuro e le opportunità che la tecnologia rende possibili.

In un momento di riflessione come quello che stiamo vivendo, il dibattito a livello locale su innovazione e tecnologia promosso da SingularityU Legnano Chapter si è occupato del rapporto tra la tecnologia e due eccellenze italiane e del territorio, l’arredamento e design.

L’obiettivo era quello di trovare spunti per il rilancio dell’economia dopo il trauma del Covid-19, e il pretesto è stato un documento, il White Paper ‘DesignTech for future’ prodotto da DesignTech Hub in collaborazione con esperti del settore italiani e stranieri.

Il lockdown? Un acceleratore

Il lockdown è stato lo stimolo per immaginare il futuro degli spazi, mettendo al centro design e tecnologia e coinvolgendo i più importanti player sui temi workplace, education, hospitality, retail e public spaces.

Photo by Victor He on Unsplash

Il risultato è stato un documento che è una traccia intellettuale in grado di farci visualizzare un futuro diverso, superando modelli obsoleti e grazie alla possibilità di sfruttare il potenziale della tecnologia a disposizione oggi.

I protagonisti del White Paper hanno raccontato la loro visione del DesignTech nella Mission Two di SingularityU Legnano Chapter, evento in web streaming andato in scena lo scorso 15 giugno.

Tecnologia, grande opportunità per il Made in Italy

Il White Paper ‘Design 4 Future’ nasce da una convinzione. La tecnologia all’interno dell’arredo dialoga con gli edifici, nelle smart home e nelle smart cities, e con le persone. “Ridefinire dal punto di vista tecnologico gli ambienti in cui viviamo, integrandoli nel design degli oggetti della nostra vita quotidiana, è una grande opportunità per il Made in Italy” ha detto Ivan Tallarico di DesignTech Hub.

L’innovazione ha bisogno del giusto contesto, che va creato e gestito. Bisogna dare vita a sistemi ampi di relazione, ambienti unici in cui conoscenza e valore economico si incontrano, cioè un ecosistema.

Gli ecosistemi oggi sono vitali, sono il modo in cui stimolare e favorire l’innovazione “e questo può avvenire solo quando si incontrano discipline diverse”, ha detto Domenico Agnello, Innovation Ecosystem Lead di PwC, “Questa multisciplinarietà implica una complessità, che va governata per diventare abilitatori di innovazione”.

Workplace: quale sarà il valore degli uffici?

Progettare e ripensare gli spazi ufficio è un tema di stretta attualità dall’inizio della pandemia. La tecnologia ha completamente cambiato la progettazione.

Già prima del Covid avevamo un modello”, ha raccontato Alessandro Adamo, Partner di Lombardini22 e DEGW Italy, “L’osservazione di un campione di organizzazioni ci diceva che la postazione di lavoro veniva occupata per il 50% del tempo. Quindi c’era già in atto una tendenza: il posto di lavoro era diventato dinamico. Da marzo tutte le aziende hanno dovuto rivedere gli spazi ufficio e si sono rese conto che il lavoro va avanti lo stesso”.

Photo by Proxyclick Visitor Management System on Unsplash

Il futuro degli spazi di lavoro? Dobbiamo considerare nuovi aspetti e focalizzarci sulla tipologia di persone che compongono l’organizzazione, sulle loro caratteristiche, in modo da definire un ambiente il più possibile rispondente a queste”.

Dovremo considerare l’oggetto edilizio come qualcosa di più fluido, come succede con il nostro ufficio. L’edificio non deve più nascere con una sola funzione, si deve adattare a più destinazioni”.

Della tecnologia dobbiamo esaminare il modo in cui entra nello spazio e nel vissuto, quali feedback ci dà, così da poterla aggiornare in base alle esigenze che cambiano”. Nel post Covid, il tema del ‘no touch’ è un’area di sviluppo importante e la tecnologia può dare grande supporto.

Cosa intendo con Figital? Una spazio fisico e non per forza un ufficio. In base alle nostre ricerche, durante la pandemia la casa si è fatta preferire nel confronto con l’ufficio: ti puoi concentrare di più, puoi fare call riservate. Il valore dell’ufficio rimane, ed è fatto delle collisioni casuali che oggi ci mancano, del senso di appartenenza e delle connessioni”.

L’ufficio oggi è uscito dall’ufficio, le attività individuali non hanno bisogno di essere fatte per forza lì. Il valore dell’ufficio rimarrà per tutto quello che è connessione fisica, per scambiare e condividere informazioni. Nel settore della moda e dell’architettura, i materiali devono essere visti e toccati, non è qualcosa di virtualizzabile.

Commistione e nuove contaminazioni

Parlando di incontro di più linguaggi e discipline, Massimo Mangini, Presidente del Gruppo Mangini, prevede una contaminazione, positiva, “tra le caratteristiche classiche dell’ufficio, come il design, e quelle del medicale, come i sistemi e i materiali sanificanti. Ma anche nel medicale entrerà il design, per umanizzare gli ambienti, renderli più idonei a persone, i pazienti, che hanno bisogno di maggiore attenzione”.

Sarà una contaminazione a doppia via grazie alla possibilità di importare tecnologia da altri ambiti.

Per il DesignTech, Milano potrà essere l’hub dell’innovazione?

Milano devo prendersi il ruolo di hub del DesighTech”, ha detto Marnix Schrooyen (Global Sales Director di Kreon), “non ha bisogno di sottovalutarsi. In meno di 10 anni la città è cresciuta molto, ha la cultura del ‘saper fare’ nel DNA”.

Photo by Daryan Shamkhali on Unsplash

Oggi l’innovazione, come l’economia, è senza confini, aperta a chi vuole contribuire. Milano dev’essere aperta a farsi contaminare a recepire gli stimoli e gli impulsi che provengono da ogni parte. Per fare questo le aziende del design devo avere una forte impronta digitale ed essere collaborative.

Mi piace dire che ci sono due tipi di innovazione, quella dovuta, quando arriva da una legge che la impone, è quella voluta, quando nasce da un desiderio e da una ricerca. Le vedere aziende innovatrici hanno questo curiosità” ha aggiunto Schrooyen.

Salone del Mobile e Innovation District

Milano quest’anno ha visto la cancellazione dell’evento più importante dell’anno per il mondo degli interni, Il Salone del Mobile. A fianco della Fiera di Rho, sede de Il Salone, è nato il MIND Milano Innovation District, un polmone dell’innovazione. Questi due grandi collettori di interesse si potranno influenzare a vicenda?

Per Alberto Scavolini (Ceo & Managing Director di Ernestomeda Spa) è molto facile pensare che ci sarà una commistione: “Sono affiancanti, qualcosa avverrà sicuramente, ci sarà chi visiterà il Salone e poi andrà al MIND e viceversa”.

L’innovazione deve partire dalle aziende”, ha proseguito Scavolini, “il Salone è una vetrina, un incubatore di innovazione a cui le aziende partecipano per presentare le proprie novità. Penso che la commistione col MIND ci sarà, anche se oggi è ancora difficile prevedere cosa accadrà dopo il Covid agli eventi fieristici”.

L’innovazione parte dalle aziende, anche le più piccole e anche dalle start-up.

Per le nostre aziende è importante trovare delle start-up in grado di integrare gli elementi che sono per noi più familiari, cioè design e performance”, ha commentato Mangini, “L’innovazione non è solo delle grandi aziende, è grazie alle piccole aziende che l’innovazione può anche essere sostenibile, perché possono sperimentare di più”.

Domotica + illuminazione di design: la bulding automation a km zero

Dopo la discussione, ecco qualcosa di pratico e concreto riguardo all’applicazione della tecnologia al design. Un caso studio che viene dal territorio.

Eelectron è un’azienda di domotica con sede a Legnano, Panzeri produce lampade di design e illuminazione architetturale a Biassono. Sono lontane solo mezz’ora in auto, ma le due aziende non si conoscono. A presentarle ci pensa Gianmaria Paganini di The Zen Agency, sponsor di SingularityU Legnano Chapter, che ha ascoltato i bisogni di entrambe e li ha messi insieme.

Da una parte, Eelectron è abituata a fare cose che non si vedono, incassate e nascoste nei muri. Dall’altra, Panzeri ha bisogno di un partner che sappia esaltare la sua produzione totalmente Made in Italy, a km zero, e integrarla con le tecnologie di building automation per passare quindi dall’elettrico all’elettronico.

Così la lampada da tavolo Jackie di Panzeri è diventata, grazie alla tecnologia di Eeelectron, ‘Jackie IoT’, un oggetto capace di dialogare con il sistema di office automation ‘OTOMO’ dell’azienda legnanese.

Non volevamo alterare l’oggetto, un prodotto già minimal e dal design riconosciuto e pluripremiato. Electron però è riuscita a inserire dei sensori in uno spazio ridottissimo, usando sia la tecnologia Bluetooth sia un luxmetro, per interagire anche con la luce naturale” ricorda Federico Panzeri, Global Sales Manager della Panzeri Carlo Srl.

La lampada è diventata così protagonista dell’Internet delle cose: “Un oggetto visibile con a bordo dei sensori che permettono non solo di gestire l’ambiente (illuminazione, temperatura) ma anche di prevedere scenari in base alle specifiche persone (presenza e permanenza) che vi entrano” ha commentato Daniele Caso, amministratore delegato di Eelectron.

SingularityU Legnano Chapter: crediamo nella tecnologia esponenziale come strumento per la crescita del benessere delle persone. Agiamo in un contesto locale, ma parliamo di temi di interesse globale e formiamo comunità di pensatori che guardano al futuro, spinti dalla passione e dalla volontà di fare. Gli eventi che organizziamo riuniscono le persone per avere un impatto positivo, necessario per superare le grandi sfide dell’umanità.

Unisciti a noi! Partecipa ai nostri eventi, diventa un volontario o un relatore. Contattaci, ti aspettiamo.

I 4 pilastri del tuo business online

Esiste un mondo parallelo al nostro, quello da cui entriamo grazie a Internet e attraverso lo smartphone, in particolare.

A questo mondo parallelo Alessandro Baricco ha dato il nome di ‘Oltremondo’ nel suo libro ‘The Game’, un saggio dedicato alla rivoluzione digitale.

Così come per le persone, anche per le aziende esiste l’Oltremondo, altrettanto ricco di opportunità e di tentazioni. È un luogo dove possono avere un’altra vita, creandosi una nuova identità (un nuovo brand), oppure aiutare e supportare quello che stanno facendo. Sì, ma come?

L’Oltremondo è pieno di tentazioni

Le tentazioni sono le tante voci che cercano di catture l’attenzione degli imprenditori, direttori marketing e commerciali, le sirene che spacciano i trend del momento come le strade da seguire assolutamente per raggiungere il successo online e vendere di più. Anche nel campo del business esistono i Fake: esperti, formatori e guru sono spuntati come funghi online, tutti con una ricetta unica e vincente.

Ma sono, appunto, dei Fake. L’Oltremondo del web non è poi così diverso dal mondo da quest’altra parte, perché farsi largo e avere risultati devi lavorare duro, non ci sono formule segrete e vie facili.

Una delle tentazioni più grandi è la voglia di buttarsi, di sfruttare tutti quegli strumenti disponibili online e che, a parole, sembrano riuscire a far ricche un sacco di persone in un amen, creando influencer e start-up di successo dal nulla, dall’oggi al domani.

(Ri)Partiamo dalle basi

La verità è che, nonostante le tante distrazioni della rete e l’avvento dei social media, quelli che erano i pilastri di un sano e duraturo business online sono sempre rimasti gli stessi. Questi pilastri sono 4 e sono le basi su cui poggiare la propria attività online, ancora di più oggi, nell’epoca post (primo?) lockdown da Covid-19.

Prima della pandemia, fare business online era considerata sì un’opportunità, ma, soprattutto per le piccole e medie imprese, da prendere con le molle. Prima veniva l’economia reale, poi, forse, quella virtuale, senza fretta. Molti ci pensavano, sempre con un po’ di diffidenza, prima o poi avrebbero fatto qualcosa, ma senza fretta. Tanto il web era sempre lì, a disposizione.

Poi è arrivato il Coronavirus e quell’attendismo un po’ snob è diventata ansia da digitalizzazione dopo aver visto come tanti si sono salvati, o sono comunque rimasti a galla, grazie anche alle vendite e ai servizi online messi a disposizione durante la quarantena.

1. La strategia

Parti avendo le idee chiare su cosa vai a fare online: quali sono gli obiettivi, a chi vuoi comunicare, in che modo farlo e con quali contenuti, quali sono i parametri con cui misuri il successo, o l’insuccesso, delle tue azioni.

Parti da qualcosa di poco articolato per poi strutturare meglio il tuo piano, ma non andare online senza una strategia. Scrivila, documentala e condividila con tutte le persone che fanno parte dell’azienda.

Questo video spiega in modo molto semplice cos’è una strategia e a cosa serve: “non definisce tanto, o solo, quello che fai, ma riguarda più che altro quello che non fai”, e si basa su tre semplici passi: obiettivi, performance e metriche.

2. Il sito web

Ogni giorno Internet si arricchisce di ultimi arrivati: canali social, applicazioni mobile, servizi e nuove ‘idee dell’anno’. La maggior parte di questi, sono servizi a pagamento di terze parti, utili e meno utili, ma che non sono di tua proprietà.

Puoi diventare uno Youtuber di successo, ma se YouTube decidesse di chiudere il tuo canale o bloccare i tuoi video, non potresti più fare niente. Puoi vendere su Amazon, ma se la potente piattaforma di Jeff Bezos decidesse di chiuderti l’account in modo unilaterale, per motivi più o meno chiari, dovresti dire addio al tuo business. Non sono scenari improbabili, sono cose che succedono realmente e neanche tanto di rado.

Tra fare business con un sito proprietario e lavorare su una piattaforma di altri, passa la stessa differenza che c’è tra abitare in un appartamento di proprietà e in uno in preso in affitto. In entrambi i casi hai un tetto sopra la testa, ma se sei in affitto il tuo padrone di casa potrebbe sempre decidere di sfrattarti per qualche motivo, costringendoti a trovare un altro posto e ripartire da zero.

Il tuo sito web aziendale è uno degli asset della tua azienda. Lo puoi usare come vuoi, far crescere, declinare in più lingue, trasformare in e-commerce, usare per pubblicare contenuti, raccogliere informazioni sui visitatori e costruirti una lista di contatti.

Passano le mode, anche su Internet, ma i siti web rimangono il pilastro imprescindibile su cui si basa il tuo business online e tutta la rete in generale.

3. Il marketing sui motori di ricerca

Durante il lockdown abbiamo dovuto smettere di fare tante cose, ma non abbiamo mai smesso di navigare, fruire di contenuti online e fare ricerche.

I motori di ricerca sono il nostro punto di riferimento, il punto di partenza. Quando abbiamo un bisogno, di qualsiasi genere, e lì che andiamo per cercare un aiuto e soddisfarlo.

I motori di ricerca sono l’ingresso nell’Oltremondo, il luogo in cui siamo disposti, forse non troppo consapevolmente, a scrivere e a dire molto di noi: cosa ci piace, cosa leggiamo, ascoltiamo e guardiamo, cosa compriamo, dove vorremmo andare in vacanza, ecc. Nei momenti di crisi, possono i cambiare i bisogni, ma le ricerche online continuano a essere sempre moltissime.

È qui che devi essere sempre presente, nei risultati dei motori di ricerca, perché sei visibile nel momento in cui le persone stanno cercando qualcosa e la tua aziende potrebbe essere in grado di soddisfare quel bisogno.

4. La lista di contatti

Ecco il quarto e ultimo pilastro del business online, un altro asset della tua azienda. Paradossalmente, con una lista di contatti interessati a quello che vendi, fatta di clienti e prospect, potresti implementare un business online anche senza avere un sito web.

Ti basterebbe costruire diversi percorsi di vendita (funnel) e ‘nutrire’ questo tuo pubblico con messaggi periodici via mail (email marketing automation), con contenuti utili su quello che le persone potrebbero fare con ciò che vendi, l’oggetto del tuo business (prodotto o servizio).

Quanti piccoli imprenditori durante il lockdown mi hanno confessato:

“Ah, se avessi avuto le informazioni di contatto dei mie clienti, almeno quelli più affezionati…”.

Quelli che pensavano che fare direct marketing, attraverso una mailing-list proprietaria, fosse una pratica anni ’90, forse si sono ricreduti durante la quarantena.

Social? Prima solide fondamenta

Queste sono le basi, i 4 pilastri sui cui costruire la tua attività online, che sia totalmente nuova oppure no. Puoi guardare con ammirazione e invidia a casi di successo totalmente basati sui social media, ma se vuoi pensare sul lungo periodo e avere delle fondamenta solide, prima sviluppa e consolida questi 4 pilastri.