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Una ragazza controlla il suo smartphone

Newsletter a pagamento e lo speciale rapporto con gli iscritti

C’è una domanda che, casualmente, mi è capitata sotto gli occhi più volte in questi ultimi giorni: per quanti servizi online a pagamento c’è posto? Quanti abbonamenti una persona è disposta a sottoscrivere (e si può permettere)?

Un commento a un video sul lancio di un nuovo servizio a pagamento (Quibi), parlava di un modo molto pragmatico di affrontare la questione:

“La maggior parte delle piattaforme, come Netflix, DAZN, Disney+, mi permette di disdire quando voglio. Così, scelgo quella che mi interessa in quel momento, poi disdico e passo a un’altra”.

Forse un po’ scomoda come soluzione, ma ha il suo perché dal punto di vista dell’utente. Per chi invece questi servizi li vuole vendere, la questione è più complessa.

Nuove idee di prodotti online

La grande offerta di servizi che seguono un modello a sottoscrizione mensile è arrivata forse a un punto di saturazione, almeno per quelli che si rivolgono al consumatore finale.

Alla ricerca di qualcosa di nuovo ci si sta guardando intorno e, come succede quasi sempre, anche indietro. Si sta rivalutando uno degli stumenti di comunicazione digitale più vecchi, ma mai tramontati: la newsletter.

Il modello: il magnete in questo caso è la ‘normale’ newsletter che si manda alla propria lista di iscritti. Il ‘magnete’ è quel contenuto gratuito che ti aiuta a costruire una lista di persone interessate a un argomento che ha a che fare con qualcosa che vuoi vendere.

Prima di fare un’offerta commerciale, a freddo, il percorso prevede di costruire un pubblico di potenzialmente interessato, la lista appunto, e sviluppare una relazione: chi crea contenuti interessanti si guadagna la fiducia di chi li ha ‘assaggiati’ e che ha chiesto di continuare a riceverne iscrivendosi alla newsletter.

La letteratura del web marketing dice che è molto più facile vendere qualcosa a una lista qualificata con cui inizi un dialogo sulla base di contenuti gratuiti e utili, senza chiedere nulla in cambio se non dopo aver consolidato questo rapporto.

Succede così anche nella vita: difficile poter baciare una ragazza al primo appuntamento. Prima ci si conosce un po’ per capire, reciprocamente, se c’è il giusto feeling.

La newsletter è speciale

La newletter esce un po’ dalla logica del classico magnete, perché di per sé ha già un valore di relazione intrinseco. Chi si iscrive, accetta di ricevere quel genere di contenuti, secondo una certa frequenza periodica, nella propria casella di posta.

Ci tiene, non vuole che quel messaggio si perda nel flusso infinito e caotico dei feed dei social network. Così lo può leggere quando vuole, tanto è al sicuro nella propria mail.

La gente è disposta a pagare per ricevere una newsletter? Sembrerebbe di sì, se è vero che è un modello che si sta diffondendo e che entra in competizione con i vari servizi di cui si paga un abbonamento mensile.

La forte relazione su cui si basa la newsletter è indipendente dall’algoritmo dei motori di ricerca e questo è un vantaggio e, in parte, anche uno svantaggio. È un vantaggio perché le logiche per acquisire iscritti sono diverse da quelle che regolano la SEO e i risultati di Google, non c’è lo stesso affollamento; è uno svantaggio perché trovare newsletter a cui iscriversi non è come cercare un sito web, non esiste a oggi un motore di ricerca delle newsletter.

Il modello partecipativo

La potenza dello strumento newsletter sta però soprattutto nella qualità della relazione che si crea con chi la riceve. La marketing automation, fatta di funnel e mail inviate in automatico per arrivare a un’offerta commerciale, per quanto i testi possano essere efficaci e le proposte allettanti, non ha la stessa capacità di stabilire un rapporto di lungo periodo.

Mi hanno affasciato molto dei casi basati proprio, in partenza, su una ‘normale’ newsletter, gratuita, che poi sono articolati in altri contenuti, come per esempio un podcast e un libro, sostenuti da donazioni volontarie. Chi crea il contenuto offre tutto gratuitamente, almeno all’inizio, incassa l’apprezzamento di quello che offre e incrementa il numero di iscritti alla sua lista. Poi, chiede di sostenere il progetto con contributi di vario genere, una tantum, ricorsivi o comprando il proprio libro.

I numeri di alcuni di questi esempi sono sorprendenti, non sono noti o pubblici, ma la complessità e la qualità dei contenuti prodotti lascia pensare che il ritorno sia importante. Parliamo di fondi che riescono a pagare delle produzioni professionali e viaggi oltreoceano piuttosto frequenti, come nel caso di Francesco Costa e il suo ‘Da Costa a Costa’.

Un modello partecipativo che dà un messaggio un importante: in un momento in cui i giornali hanno deciso di chiudere al modello gratuito delle news online, ci sono molte persone che sono disposte a pagare per un certo tipo di contenuti informativi, molto meno caotici e generalisti, ma verticali e di qualità, curati e personali. Un rapporto che più che uno (il content creator) a tanti (gli iscritti) sembra più ‘uno a uno’, senza mediazioni, né della testata giornalistica né dell’algoritmo.

Le aziende ci credono nel valore della newsletter?

Forse è proprio questo tipo di relazione che rende intramontabile e speciale la newsletter. Tuttavia, le aziende spesso sottovalutano questo potere, ancora di più oggi che il GDPR impone delle attenzioni in più alla qualità della lista e alla gestione dei dati personali.

Eppure la newsletter rimane uno dei pilastri del business online. È un asset proprietario che non dipende da piattaforme terze, che permette una relazione più diretta con un pubblico qualificato e che si aspetta, in cambio dei propri di dati, di ricevere sempre contenuti di valore.

Cosa può insegnarci l’esempio di Quibi

Anche solo pensare di competere con Netflix e Amazon Prime può sembrare una follia, invece c’è chi ha accettato questa missione impossibile.

Si chiama Quibi la nuova app per smarphone dove tutto dura solo 10 minuti. Si tratta di un servizio di video streaming on demand in cui tutto è diviso in capitoli della durata di circa 10 minuti.

Quibi va incontro alla velocità di consumo dei contenuti che c’è oggi e si propone come alternativa ai colossi del video streaming, compreso YouTube, per riempire quei momenti in cui magari hai solo qualche minuto a disposizione e vuoi essere intrattenuto.

Bocconcini veloci. Grandi storie

Non so se Quibi avrà successo con i suoi ‘Quick bytes. Grandi storie’, ma quello che mi piace di questo progetto è il mondo in cui è stato pensato. Prima di tutto l’ascolto, il tentativo di rispondere a un’esigenza: la persone hanno poco tempo, vogliono contenuti brevi e di qualità che sono disposti a pagare, secondo Quibi.

Per chi non vuole perdersi a cercare, per esempio su YouTube, qualcosa che fa al caso suo per vederlo in quei pochi minuti, Quibi offre film e serie tv a puntate da 10 minuti, oppure l’informazione autorevole targata BBC, NBC News o ESPN e produzioni originali e nuove, ogni giorno, sempre nel formato di ‘veloci bocconcini’.

I video di Quibi sono ottimizzati per lo smartphone, si possono vedere passando dalla visualizzazione orizzontale a quella verticale a pieno schermo, un altro elemento testimonia l’attenzione all’esperienza dell’utente e alla fluidità di utilizzo.

Film, serie e video da un altro punto di vista

Un servizio come quello proposto da Quibi mi fa ha fatto ripensare a quante cose si possono fare partendo dallo stesso contenuto, le produzioni video in questo caso.

I film sono gli stessi contenuti offerti da piattaforme come Netflix, Prime e molte altre, ma nessuno aveva mai pensato di dividerli in capitoli brevi o di standardizzare le produzioni video in durate prefissate (circa 10 minuti), cosa che invece aveva fatto Twitter con la lunghezza dei testi dei suoi post (i famosi 140 caratteri).

La questione non è se il format di Quibi sarà apprezzato o meno dal pubblico, ma piuttosto che non serve per forza cercare l’idea inedita, che nessuno ha ancora avuto, perché è molto difficile trovare qualcosa di assolutamente nuovo.

Facebook è stato il primo esempio di social network, imitandolo e copiando molte delle sue caratteristiche ne sono nati moltissimi altri. Instragram ha dato il là ai canali social principalmente fotografici e nativi mobile, molti lo hanno imitato e si sono proposti a nicchie diverse, ritagliandosi il proprio spazio e cercando di rubarne agli altri.

Un contenuto non balla per una sera soltanto

Un contenuto, così come un’idea, può essere ripreso, modificato, migliorato e riproposto più e più volte.

Testi, grafiche, video, audio… In generale tutto quello che hai prodotto e per cui hai speso fatica e risorse, non vive una volta sola. Non fermarti a una semplice pubblicazione social, ma pensa a come riproporlo da altri punti di vista (come ha fatto Quibi con film e serie tv), magari a distanza di tempo, sia nel caso ti abbia dato dei buoni risultati (seo, lead generation, traffico, interazioni), sia che non abbiamo funzionato.

Se ha funzionato, hai un buon motivo per riusarlo e dargli altre oppurtinità di fare il suo dovere. Se non ha funzionato, puoi provare altre strade, formati e testi, puoi fare dei test, ma non lasciare che il risultato dei tuoi sforzi viva solo per poche ore. Merita almeno un altro ballo.

Tour de France: la Realtà Virtuale batte la pandemia

La pandemia di coronavirus ha cambiato il modo in cui facciamo le cose. Gli eventi, i luoghi e le attività a cui eravamo abituati sono stati cancellati, chiusi, in alcuni casi, definitivamente. Sono nate versioni virtuali di quasi tutto: incontri, concerti, feste, lezioni, convegni. E i grandi eventi sportivi?

Il calcio è ripartito a porte chiuse, senza pubblico, idem il tennis e la Formula 1. Ma sport come il ciclismo, che si spostano lungo centinaia di km, come possono fare per non rischiare l’oblio?

Il Tour de France ha pensato di organizzare la sua corsa a tappe in modo virtuale. Parliamo della corsa a tappe di ciclismo più antica e famosa del mondo: dal 1903, sulle strade di Francia si corso in bici ogni anno, con la sola eccezione della prima e della seconda guerra mondiale.

Il Tour è ancora in programma: Covid-19 permettendo, è stato rinviato a fine agosto (di solito si svolge a luglio). Nel frattempo gli organizzatori hanno pensato a come riempire questo buco nel calendario degli appassionati, dei ciclisti professionisti e anche degli sponsor.

Poiché tutte le gare ciclistiche più piccole che si svolgono di solito durante l’estate sono state annullate, il tour virtuale darà ai ciclisti una motivazione per allenarsi e la possibilità di mettersi in gioco in un evento agonistico. Le loro routine di allenamento sono state interrotte e stravolte, serviva qualcosa per ripartire e far girare i pedali.

Ecco allora il Tour de France virtuale

I partecipanti saranno in sella a biciclette fisse nelle loro case invece che su bici reali su strada, e ci sono altre differenze chiave tra il Tour virtuale e la corsa reale.

Per i principianti, il Tour è normalmente suddiviso in 21 tappe, ciascuna classificata come pianeggiante, collinare o montana. I ciclisti devono completare le tappe programmate in 23 giorni consecutivi, per una distanza totale di circa 3.500 chilometri.

Il tour virtuale ha ovviamente un programma diverso da questo: la gara è prevista per tre fine settimana nel mese luglio, con sei tappe della durata di una o due ore ciascuna. Come nella corsa reale, ogni tappa tenderà a essere prevalentemente collinosa, montana o pianeggiante, il che significa che i partecipanti dovranno regolare la resistenza sulle loro biciclette da allenamento e talvolta pedalare in piedi o accovacciati per simulare l’arrampicata su una collina (se hai mai fatto spinning sai come funziona).

La gara si svolgerà su Zwift, una piattaforma virtuale in circolazione da alcuni anni, un’app di allenamento per ciclisti, corridori e triatleti. Gli atleti usano un tapis roulant o una cyclette in combinazione con una serie di sensori più il loro laptop o smartphone. Possono accedere a programmi di allenamento personalizzati e partecipare a gare virtuali contro altri utenti in tutto il mondo.

I concorrenti del Tour virtuale avranno davanti a loro un grande schermo che simula la loro corsa attraverso ambienti virtuali, alcuni dei quali creati appositamente da Zwift per questo evento. Per i primi due giorni di gara, per esempio, i ciclisti attraverseranno Watopia, un mondo virtuale creato da Zwift. L’azienda ha costruito altri scenari personalizzati per il Tour, imitando principalmente i luoghi della vita reale in cui si svolge solitamente la gara, tra cui la campagna francese, un picco di 6.263 piedi in Provenza chiamato Mont Ventoux e il traguardo sui famosi Champs-Elysées a Parigi.

Secondo gli esperti, pedalare su Zwift può effettivamente essere più impegnativo fisicamente rispetto a una vera bici, per tre motivi: è più difficile per il tuo corpo rinfrescarsi, la resistenza della bici funziona in modo diverso e la motivazione diminuisce perché non c’è l’effetto del contesto, non c’è il vento tra i capelli e la strada che si muove sotto di te.

Quest’ultimo punto è la chiave

Siamo riusciti ad affrontare la pandemia in modo molto diverso da come avremmo fatto solo 10 anni fa. Tecnologie come Zoom e Slack hanno permesso a milioni di persone di lavorare da casa, i nostri smartphone ci hanno aiutato a rimanere ultra-connessi anche quando eravamo fisicamente separati, e un rapido accesso alle informazioni ci ha tenuti informati su ciò che stava accadendo.

Naturalmente, parlare con i nostri amici o guardare i musicisti in streaming su uno schermo non potrà mai sostituire l’esperienza di persona, proprio come andare su una bicicletta fissa attraverso un mondo virtuale non ti darà mai la sensazione che ti dà il vento tra i capelli o l’asfalto sotto le ruote.

Ma in un momento in cui non abbiamo altra scelta se non apprezzare le piccole cose, è sicuramente meglio dell’alternativa, che è … niente.

A seconda del modo in cui la pandemia continua a manifestarsi, potremmo essere costretti a vivere in un futuro altamente virtualizzato, con eventi che non avremmo mai pensato che potessero diventare virtuali pur di trovare un modo per riuscire a farli.

Idee che creano nuove opportunità di marketing

Potrebbe essere una grande opportunità anche per le aziende di settori particolare, come il fitness e le palestre, di riuscire a operare in periodi di lockdown, se non addirittura di differenziare la propria offerta oltre a quella reale, fatta nella propria struttura.

Il nuovo sbocco, forzato durante il lockdown, potrebbe essere quello digitale, producendo contenuti (es. video corsi) per chi ha problemi a frequentare assiduamente la palestra; vendere attrezzatura connessa di nuova generazione, per organizzare sedute ad hoc o competizioni. Opportunità, appunto, che non possono sostituire l’esperienza reale, ma che possono arricchire l’offerta ed essere da supporto nel bene e nel male.

Quanti partecipano al Tour de France virtuale?

23 squadre maschili e 17 squadre femminili si sono iscritte alla gara di bici virtuale, inclusi gli ultimi tre vincitori dell’evento reale. Le riprese verranno trasmesse in oltre 130 paesi.

Speriamo solo che tutti i concorrenti abbiano connessioni Internet stabili.

Cyberpunkers, storie di ribelli: rompere le regole fa bene alle aziende

Rinnovare il business è oggi più che mai una priorità. Ecco chi ci è già riuscito e chi continua a provarci.

Gli uffici di the Zen agency tornano a ospitare gli eventi Divergent. Lo scorso primo di luglio, è andato in scena il format ‘Save the Rebel’ con l’evento in streaming dal titolo ‘Cyberpunkers — IL TALENTO RIBELLE AL SERVIZIO DELLA DISRUPTION DIGITALE’, nell’ambito del programma del Milano Marketing Festival 2020.

Nell’era post Covid-19, parlare di ribelli a livello aziendale è più che mai di attualità, e Save the Rebel porta alla ribalta casi imprenditoriali reali ed esperienze umane che tutto sono fuorché un esempio di tranquillità e comfort zone.

Sempre fuori dal coro

Dopo lo scossone della pandemia, serve ora la capacità di prendere decisioni, di osare, anche se non sai dove ti porteranno. Il senso dell’introduzione di Germano Lanzoni, creatore di HBE — Human Business Entertainment, è proprio questo e la sua storia è un esempio di scelte fatte controcorrente e contro la comodità.

Adattarsi non è da ribelle: “Se un ribelle si sforza di adattarsi può implodere nel progetto impostato” dice Lanzoni.

Il progetto di portare l’umorismo nella comunicazione aziendale è nato rifiutando di appiattirsi sugli stili consolidati tipici del periodo in cui scelse di puntare su qualcosa di suo, di indipendente.

Alla base del percorso di Lanzoni c’è tanta sperimentazione, in continuo ascolto, per cogliere spunti di valore da tutto e da tutti, anche dai più giovani.

Futuro? Il presente è già Cyberpunk

Il padrone di casa Seby Fortugno, Founder ed Executive Creative Director di the Zen agency, ha parlato di come molto di quello che succede oggi fino a poco tempo fa sembrava fantascienza, ma proprio in questo mondo, cioé dalle sceneggiature dei film fantastici, possiamo trovare molti riferimenti di concreta attualità.

La realtà virtuale, il cambiamento degli assetti urbani, le guerre informatiche e la presenza di pubblicità sempre più invasiva, portano oggi la cosiddetta disruptive innovation, concetto di cui le presentazioni aziendali sono ormai piene.

Ma disruption non vuol dire accelerazione tecnologicaDisruption vuol dire rottura, quella che genera un salto nel business”.

Gli esempi di vera disruption sono quelli di Amazon che allarga e differenzia il suo business oltre l’e-commerce, di Whatsapp che rivoluziona il modo di comunicare e di AirBnB che stravolge il modo in cui siamo abituati a prenotare e vivere le nostre vacanze.

Domanda: come è andato il Milano Marketing Festival in Zen? Risposta :#changeiszen

Posted by the ZEN agency on Tuesday, July 7, 2020

La velocità dell’innovazione tecnologica va indirizzata “verso una Distruption culturale e comportamentale” ha concluso Seby Fortugno.

I ribelli si battono contro le differenze

È quello che fa Chiara Brughera, managing director della non profit SheTech Italy, associazione che lavora per colmare le differenze di genere. Supporta le donne nel mondo della tecnologia, del digital e dell’imprenditoria attraverso eventi di networking, corsi di formazione a Milano e Roma e cercando di costruire opportunità professionali.

Il gender gap riguarda in particolare proprio il settore dell’informatica e della tecnologia.

All’università, ‘solo’ il 18% delle donne sceglie percorsi di questo tipo” ha ricordato Chiara.

Anche se in ambito accademico hanno performance migliori, le donne non vengono ripagate poi adeguatamente a livello economico e professionale. Per questo molte start-up stanno iniziando a fare qualcosa di concreto, anche attraverso associazioni come SheTech Italy.

Il cliente finale sempre al centro

Marco Mottolese, è il ceo & co-fondatore di Foorban, una start-up a sua volta ribelle perché nel 2016 è nata come ristorante senza sala con consegna a domicilio, soprattutto per i luoghi di lavoro.

Cavalcando una ribellione più hard, abbiamo deciso di focalizzarci sulla pausa pranzo” ha detto Marco.

Foorban si è focalizzata sul pranzo, un azzardo nel momento in cui stavano fiorendo attività di food delivery che funzionavano soprattutto la sera e che trasportavano piatti di ristoranti terzi. Ha funzionato però il focus sul cliente finale e sulla sua esigenza di avere la mensa in ufficio, un mercato in cui non c’era offerta ma con una forte domanda.

Dopo il Covid la situazione ora non è delle migliori, ma l’azienda di Mottolese cerca di spingere sempre sull’innovazione e la capacità di adattarsi ai cambiamenti. “Non cambiano i principi del marketing, ma il modo di applicarli in questa nuova situazione” ha concluso Marco.

Cambiare per sentirsi più umano

La storia del ‘ribelle’ Vanni Oddera è quella di un campione di motocross che ha deciso di usare la sua passione per aiutare chi è in difficoltà. Vanni fa provare la mototerapia ai giovani pazienti dei reparti oncologici e quelli con problemi fisici, una pratica ora diffusa a livello mondiale proprio grazie al lavoro di Oddera, il primo a portare la moto dentro gli ospedali.

La mototerapia è un momento di aggregazione per allontanare la solitudine, perché se hai un problema, una malattia, la società ti allontana” ha detto Oddera della sua attività.

Vanni ha raccontato del suo momento di cambiamento: preso un taxi per andare in discoteca, notò che il taxista era senza gambe e, nel confronto, si sentì veramente fortunato. Regalò tutto quello che aveva al tassista e decise di cambiare vita. Ora dà speranza alle persone e dice di avere acquisito un valore importante: l’umanità.

Infine, i fottuti ribelli

Il monologo di Ciccio Rigoli, CEO e fondatore dell’incubatore culturale Slam, ha chiuso l’evento del format ‘Save the Rebel’ di Divergent. L’intervento è incentrato su come i più vecchi “hanno fottuto i 30/40enni”: uno specchio della situazione di oggi a cui la generazione di ribelli deve reagire per cercare, comunque, di andare avanti.

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