Loading...
Godersi Netflix sdraiati sul divano | the Zen agency

No rules rules: siete pronti al cambiamento costante?

Non ho motivi per sconsigliarti la lettura di uno dei migliori libri di organizzazione aziendale che abbia mai letto.

Anzi, forse uno: il libro di Reed Hastings e Erin Meyer dedicato a Netflix dà una perfetta lettura non tanto di quello che sarà il futuro mondo del lavoro, ma di quello che è il mercato del talento.

Quando lo concluderai, sorgerà una domanda:

Accetterei di lavorare per un’azienda come questa?

Non sarai sicuro di volerti dare una risposta.

Retribuzioni ai massimi livelli, TFR generosi, massima sincerità verticale e orizzontale, nessun limite di tempo libero e ferie di cui disporre. 

L’accesso sembra relativamente semplice, almeno nella teoria: devi essere il numero uno nel tuo ruolo oppure un talento che potrebbe puntare a diventarlo.

Partiamo da quello che questo libro – L’unica regola è che non ci sono regole – non è. Non stiamo parlando della storia di Netflix.

Che viene raccontata, certo, ma come sfondo del vero oggetto del libro: perché non è mai esistita un’azienda come Netflix? 

Un’azienda capace di cambiare pelle fino a diventare quella che conosciamo oggi, che continua a sperimentare, innovare e crescere.

Ho personalmente divorato ogni singola pagina ma visto che non voglio rubarti tantissimo tempo (che potresti investire meglio, ad esempio leggendo il libro), preferisco concentrarmi su tre cose, non le più importanti necessariamente, semplicemente significative. 

Le mie preferite.

Netflix culture deck

Una serie di 127 diapositive originariamente destinate a un uso interno ma che Reed ha condiviso nel 2019.

Per Sheryl Sandberg (Facebook) stiamo parlando di quello che potrebbe essere: “il documento più importante mai uscito dalla Silicon Valley”. 

Prendiamo questa slide:

Gli altri dovrebbero ricevere tempestivamente una generosa liquidazione per permetterci di liberare una posizione e trovare una star per quel ruolo.

Il Keeper Test usato di manager:

Per quale dei miei collaboratori sarei disposto a lottare se mi comunicasse di volersi licenziare da Netflix per accettare un ruolo simile in un’altra azienda?

L’approccio è chiaro: l’azienda non è una famiglia, è più assimilabile a un team.

I legami di sangue non si scelgono, chi compone una squadra sì.

In Netflix c’è spazio solo per i migliori, se non appartieni a questa categoria – prima o poi – un generoso TFR ti accompagnerà alla porta. 

Perché non c’è spazio per la mediocrità?

Lo spiega perfettamente questo esempio, dove si immagina un team composto da sette persone, di cui un paio mediocri:

  • assorbono l’energia dei manager, che ne avranno meno da dedicare agli altri cinque;
  • riducendo il QI complessivo del team, si abbassa la qualità delle discussioni del team;
  • viene ridotta l’efficienza, i migliori dovranno sviluppare modi per adeguarsi ai mediocri;
  • chi mira all’eccellenza viene spinto ad andarsene;
  • si mostra al team che viene accettata anche la mediocrità.

La performance – buona o cattiva che sia – è contagiosa.

Un team medio proporrà performance medie, anche da parte dei componenti che potrebbero offrire performance eccellenti.

Un team composto invece da persone altamente performanti, vedrà spinte a tutti i livelli dell’organizzazione per fare sempre meglio.

Pensaci, non è così strano.

Altri due punti mi hanno colpito molto: non sono previsti bonus sulle performance e vengono incentivati i colloqui presso altre aziende

Se sono il migliore nel mio ruolo, non ho bisogno di incentivi per fare meglio.

Farò già il massimo, perché tengo al fatto di voler rimanere tale (da un lato) e perché so che se non darò quanto posso lo farà presto qualcun altro al posto mio (dall’altro lato).

Vengono incentivati anche i colloqui presso altre aziende: se sono convinto di offrirti la miglior soluzione possibile per sfogare il tuo talento e sono disposto a pagarti al massimo del mercato di riferimento, perché te ne dovresti andare?

In Netflix si cerca un dialogo attivo con i propri manager: dimostrando che là fuori qualcuno sarebbe disposto a pagare di più una figura per coprire lo stesso ruolo, avrai diritto senza grandi difficoltà ad adeguamenti di compenso. Che non sono “orizzontali” o “per tutti”. Alcuni ruoli possono non cambiare per anni, semplicemente si segue l’andamento del mercato dei talenti.

Dove sta scritto che un aumento di retribuzione non possa avvenire ogni mese? E dove, che non possa anche non avvenire mai?

Il talento è esponenziale

Perché pagare tanto un talento?

In ambito creativo e digitale un campione non vale 2, 3 volte un dipendente normale. Cresce esponenzialmente, un singolo fuoriclasse nel proprio campo può valere 200, 300 volte dipendenti “normali”. Per questo motivo, possono bastare pochissime persone per ottenere risultati superiori a quelli raggiungibili da team molto più complessi e numerosi.

Il libro propone un processo per raggiungere l’eccellenza su tre pilastri, costantemente monitorati e migliorati: creare densità di talento, sincerità a tutti i livelli, eliminazione di controlli e burocrazia.

Di talento ho già parlato, sincerità fa rima con feedback.

Feedback che vengono gestiti in modo diverso, rispettando le diverse culture che compongono l’enorme puzzle di Netflix: non possiamo pensare che la risposta a un feedback negativo possa essere la stessa nei Paesi Bassi e nella cultura occidentale rispetto a Paesi come – ad esempio – il Giappone.

“Adattarsi” è la quinta “A” che si va ad aggiungere alle 4 proposte, parlando di feedback:

  1. AIM TO ASSIST: mirato ad aiutare.
  2. ACTIONABLE: attuabile.
  3. APPRECIATE: mostra sempre apprezzamento.
  4. ACCEPT OR DECLINE: accetta o declina.

Declinare, difficile quando il feedback è sincero e orientato a migliorare performance e processi.

La burocrazia genera inefficienze, scelte non prese tempestivamente possono causare danni anche milionari in un contesto rapido e competitivo come quello dove opera Netflix.

Per questo motivo, la burocrazia è stata completamente eliminata attraverso processi di fiducia. Nessuna politica di budget ai rimborsi, sarai liberaro di spesare a carico dell’azienda la cifra che reputi necessaria per il miglior beneficio di Netflix.

Utilizza i soldi dell’azienda come se fossero i tuoi, sarai tu a sapere quando basterà un veloce panino e quando una cena da uno chef stellato.

Controlli, certo, ci saranno ma il prezzo per la gestione di processi di approvazione su più livelli è troppo elevato rispetto ai benefici della rapidità.

Il ciclo di innovazione di Netflix

Se hai un’idea in cui credi fortemente:

  1. Stimola il dibattito, condividila.
  2. Una grande idea va testata, fallo.
  3. Se sei il responsabile del progetto, fai la tua scommessa.
  4. Se hai successo festeggia. Se fallisci dai visibilità al fallimento.

Chiudo con il ciclo di innovazione di Netflix, lo considero estremamente interessante perché potrebbe diventare quotidianità per qualsiasi organizzazione voglia definirsi innovativa.

La sede di Netflix | the Zen agency

Condivisione delle idee e test, per partire.

I responsabili dei singoli progetti non possono accontentarsi di essere meri esecutori o applicare il sì-è-sempre-fatto-così, serve scommettere continuamente su soluzioni nuove, provare il mai provato prima.

Si innova così, quello che sappiamo noi molto spesso lo sanno anche gli altri.

Si deve festeggiare, senza vergognarsi del successo di un’idea e del team che l’ha generata. 

Sembra banale, pensaci bene, non lo è affatto.

I fallimenti vanno resi visibili per due motivi, il primo è che dagli errori si impara, ma questo lo dicono tutti.

Per Netflix il tema è (anche e soprattutto) un altro: il costo che avrebbe impaurire le persone dalla voglia di provare strade nuove.

Una grande idea può avere successo, oppure no.

Smettere di innovare ha un esito certo invece: fallire.

Tornando alla domanda iniziale:

Accetterei di lavorare per un’azienda come questa?

Direi di sì, assolutamente sì.

Le storie sono parte della nostra vita

Perché le esperienze battono i numeri, il 100% delle volte

Le decisioni non sono (quasi mai) “Data driven”.

Da ogni parte ci raccontano che il futuro sarà in mano a potenti computer in grado di processare una quantità di dati così grande che non si riesce neanche a esprimere in cifre.

Mi ha confortato però leggere una articolo di Forbes che mette in evidenza l’importanza della personalità e della leadership, di qualità umane e soggettive come le esperienze.

Una premessa così la rifiuto

Bisogna fare scelte “Data driven”. È uno dei mantra dell’era delle tecnologie esponenziali. Eppure quando si tratta di convincere qualcuno della bontà di una proposta, l’uso delle statistiche può ispirare un comportamento chiamato “rifiuto della premessa”, cioè la facile obiezione che i soli dati, nudi e crudi, non dicono la verità e non bastano a supportare un’idea.

Questo genera diffidenza e sospetto in chi ascolta.

Informazione non corrisponde a decisione

Le informazioni non si trasformano automaticamente in un comportamento. Un persona informata non è detto che prenda la decisione più logica e razionale che consegue a quell’informazione.

Lo sappiamo bene noi del digital che studiamo gli intenti di ricerca per il SEO. L’intento informativo è il primo passo di un percorso di scelta e di acquisto, ma la decisione finale può venir fatta sulla base delle informazioni ma anche no, o non solo.

Statistica, ti sfido!

A volte le decisioni sfidano le statistiche perché si basano non solo sulla razionalità. Puoi essere consapevole che mangiare qualcosa di troppo dolce ti può fart male, ma potresti volerti concedere lo stesso quello sfizio, in barba alle informazioni in tuo possesso sul quel cibo e sulla tua salute.

Fatti privi di storytelling non esistono, non sono reali.

Le decisioni le prendiamo sempre da una prospettiva interna, dove le statistiche possono o non possono avere importanza. Abbiamo le informazioni, le conosciamo, ma la nostra parte interiore, fatta di tutto il nostro vissuto, decide a volte di prendere il controllo, di scegliere in modo indipendente.

Su Forbes, Chris Westfall spiega che dovremmo focalizzare la conversazione persuasiva sulla guida dell’esperienza che conta. Viviamo nell’era dell’informazione, è ovunque, ma è l’esperienza, quella personale, l’unica cosa veramente unica. 

È l’esperienza che rende i dati significativi

Il problema oggi non è conoscere più cose, quello che guida al cambiamento è accedere alle esperienze. È su questo che ci dovremmo concentrare e su cui di dovremmo impegnare.

Considera poi il contesto in cui i numeri sono raccontati, perché è la storia intorno ai numeri che rende i dati rilevanti, significativi, potenti. È il contesto che conquista i contenuti se desideri influenzare e guidare gli altri. 

Una percentuale da sola non vuol dire niente, può rappresentare qualcosa di positivo o di negativo, è la narrazione in cui è inserita che fa la differenza.

I numeri servono, ma non parlano da soli

Questo ci dice quanto importante sia la narrazione, il tanto citato storytelling. 

Siamo fatti di empatie e di esperienze legate al nostro vissuto

Mi piace la definizione di storytelling che dà lo scrittore Alessandro Baricco:

Sfilate dalla realtà i fatti e quello che resta è storytelling. Fatti privi di storytelling non esistono, non sono reali. Uno storytelling senza i fatti non è reale, perché è esso stesso un pezzo di realtà”.

È lo stotytelling che rende reali i numeri, le statistiche, i fatti.

Uso un’altra citazione per rafforzare la tesi sull’importanza dell’esperienza:

“Siamo fatti di empatie e di esperienze legate al nostro vissuto. L’esperienza è parte della nostra vita, diventa memoria, parte di me e del mio viaggio. Se la viviamo poi la condividiamo, quindi è un’arma molto potente”.

Sono parole di Mick Odelli, che con le esperienze, reali e virtuali, ci lavora.

Per suscitare un cambiamento, punta quindi sul contesto, sulle esperienze e lo storytelling perchè, come conclude Westfall nel suo articolo, “vincono sui numeri il 100% delle volte“.

Una buona notizia per tutti quelli che scrivono o producono contenuti basati sulla narrazione, uno strumento anche per i leader che vogliono persuadere i collaboratori, i capi o il pubblico.

Digital PR e Micro Influencer Marketing

Cosa serve per fare Digital PR e Micro Influencer Marketing in modo efficace

Pagare per pubblicare: facile, ma così è semplice pubblicità. Meglio pensare a una proposta che abbia benefici reciproci, con valori e obiettivi condivisi.

Far parlare di sé, della propria azienda e del proprio prodotto, in modo spontaneo, naturale, gratuito. Un sogno? Dovrebbe essere il risultato di quelle che sono le attività di Digital PR e Influencer Marketing ma che, nella fretta di vedere risultati commerciali concreti e nell’incapacità di pensare a una strategia, si traducono spesso nel pagare dei blogger per pubblicare dei contenuti marcatamente pubblicitari.

Ma allora perché rivolgersi a blogger o content creator? Non sarebbe più semplice investire in campagne pubblicitarie online tradizionali?

Quello che manca è la visione d’insieme, un piano che porti dei mutui vantaggi.

Prima di chiedere devi dare

Se il valore di comparire ed essere citati su altri canali e siti è la spontaneità, la condivisione di valori e la conferma della validità di ciò che la tua azienda offre, perché sprecare tutto con un semplice rapporto commerciale tra inserzionista ed editore?

Manca un piano, una strategia, degli obiettivi chiari e condivisi, e anche un po’ di generosità. Sì, è una regola del web quella secongo la quale ‘prima di pretendere devi dare’.

L’approccio dovrebbe essere quello di pensare a un progetto che porti vantaggi reciproci, a chi lo propone e a chi lo veicola.

Lasciamo a un’altra volta la spiegazione di come selezionare nel modo migliore i giusti Influencer, scelta che dovrebbe essere fatta in base agli obiettivi aziendali della campagna. Mi concentro sulla definizione del progetto con un caso concreto.

Il caso studio: il colore come contenuto

L’azienda Lechler produce vernici da più di un secolo. Quando li abbiamo conosciuti, stavano lanciando una linea di prodotti, chiamata Chrèon, destinata all’utente finale e avevano una strategia di comunicazione incentrata sulla cultura del colore.

Da lì, erano nate delle guide, cartacee e digitali, realizzare in collaborazione con una color designer autorevole, sul corretto uso dei colori nei diversi ambienti, residenziali e pubblici.

Digital PR e Micro Influencer Marketing: il colore come contenuto

Dopo la fase di scounting e selezione di blogger dei settori arredamento e creatività, abbiamo pensato al progetto da proporre. Le guide sull’uso del colore sarebbero state il contenuto gratuito (magnete) da inviare come primo approccio per il contatto, proponendo poi di testate, sempre gratuitamente, la pittura per un eventuale lavoro in casa o in un progetto professionale già in cantiere. Abbiamo parlato in primis con architetti e interior designer.

Un’alternativa poteva essere quella di descrivere in modo trasparente la necessità del nostro cliente e chiedere ai blogger di proporci un progetto di visibilità, ma abbiamo scelto di prendere noi l’iniziativa, così è tutto più veloce e anche i feedback sono subito per la maggior parte positivi.

La proposta vincente è quella ‘win-win’

La nostra proposta era chiara, concreta, e non era a senso unico, con l’obiettivo di aumentare la product awareness. In cambio di un test e della pubblicazione di una recensione positiva, se il blogger avesse ritenuto che la pittura lo meritasse, abbiamo offerto la guida e una latta di vernice di alta qualità, dal valore economico piuttosto importante per il tipo di prodotto in questione.

Ci siamo rivolti a dei micro influencer per essere più credibili ed efficaci, e perché sui macro influencer il cliente era già attivo con un altro obiettivo (brand awareness).

Nel progetto sono stati coinvolti anche i rivenditori di zona di Lechler, presso i quali i blogger potevano ritirare il prodotto.

La risposta è stata molto buona, siamo riusciti a distribuire molte guide a un target di professionisti e utenti finali qualificati, piccoli influencer, appunto, e a far provare il prodotto, ottenendo pubblicazioni di casi reali di applicazioni della pittura, anche molto diverse tra loro (uffici, stanze per bambini, living, ecc).

Prova strade diverse

Per diffondere il più possibile le guide al pubblico di consumatori finali, abbiamo provato due strade diverse. Il ‘magnete’ a disposizione era forte e di qualità (la guida colori cartacea), e abbiamo provato a renderlo disponibile in due modalità: la prima prevedeva la spedizione gratuita a casa, la seconda il ritiro presso il punto vendita più vicino in cui era possibile trovare i prodotti dell’azienda.

Facile prevedere che avremmo avuto più riscontro con la consegna a domicilio, ma abbiamo deciso di non puntare solo sulla quantità ma anche sulla qualità dei contatti.

Così abbiamo realizzato due campagne Facebook Ads, indirizzate a target distinti (anche in base alla posizione geografica dei rivenditori) per portare traffico a due landing page diverse, una per la consegna a domicilio e l’altra per il ritiro in negozio.

Il risultato del test è stato utile e ci ha comunque permesso di portare delle persone anche presso i negozi dei rivenditori e di rendere quest’ultimi partecipi dell’iniziativa.

Il risultato

Ecco alcuni dei link agli articoli con la prova del prodotto:

http://www.lacasadellostile.it/2017/08/dipingere-casa-come-scegliere-i-colori.html

E alcuni altri con la recensione delle guide:

http://www.design-outfit.it/su-misura/colore-per-interni/

http://www.maryviblog.it/2017/01/una-vita-con-piu-colore-comincia-dalle.html

https://www.easyrelooking.com/blog/comfort-e-colore-attraverso-i-3-sensi/

Conclusione

Il tipo di magnete è importante. Avere un contenuto di questa qualità a disposizione per una campagna non capita sempre, ma è il tipo di valore a cui devi puntare e offrire in cambio di una richiesta che fai alle persone (es. Dati di contatto e indirizzo email).

Il piano di distribuzione di questo ottimo contenuto è stato altrettanto importante. Avere il migliore contenuto del mondo, come una bella guida cartacea, non serve a niente se nessuno sa che esiste.

Così come è stato efficace promuovere il prodotto, la vernice, attraverso delle prove reali e creative.

Hai in programma attività di Digital Marketing e Influencer Marketing? Contattaci per studiare insieme una strategia.

Le personas sono profili realistici e dettagliati dei potenziali clienti.

Perché devi mettere le Personas al centro della strategia

Il prodotto prima di tutto? Ecco un caso studio che spiega come si può iniziare un percorso per spostare il punto di vista e orientarlo sul cliente finale invece che sull’azienda.

Parlare di Personas oggi è più facile di quanto non lo fosse cinque o sei anni fa. Questo tipo di approccio strategico è diventato più comune, ma il fatto di conoscerlo non vuol dire sia diventato anche nel concreto il fulcro della comunicazione aziendale.

Esiste e persiste un retaggio che vuole che l’azienda, con i suoi prodotti e i suoi servizi, sia sempre al centro di ogni comunicazione, indipendentemente dal mezzo o dal canale.

Scardinare questo concetto non è semplice, soprattutto quando si ha a che fare con PMI o con aziende di famiglia, magari anche di seconda o terza generazione, in cui la strada dettata dal fondatore, anni e anni fa, è ancora quella maestra.

Il cambiamento ha bisogno di tempo

I cambiamenti avvengono lentamente all’interno delle organizzazioni, perciò bisogna avere pazienza e partire dalle (nuove) basi, quelle che aiutano a mettere le fondamenta per costruire qualcosa di diverso.

Quando siamo stati chiamati a lavorare per un’azienda storica del Made in Italy come Peg Perego, il nostro atteggiamento è stato proprio questo.

Nel nostro modo di supportare la comunicazione, l’azienda ci ha subito e chiaramente chiesto un nuovo punto di vista, più dinamico e orientato alla strategia. Abituati da anni al loro modo di fare e vedere le cose, volevano un’agenzia in grado di stimolarli e provocarli.

E il nostro approccio strategico è partito, appunto, dalle basi, prima con un lungo e accurato studio del contesto del mondo dei prodotti per l’infanzia, e poi, come secondo step, con la definizione delle cosiddette Personas, il fulcro di qualsiasi strategia.

Prima di tutto capire il contesto

Per analizzare il contesto abbiamo allargato l’orizzonte a un numero di concorrenti piuttosto alto, italiani e stranieri, con un focus sul mondo dei seggiolini auto, un settore in cui Peg Perego era in fase di lancio e partiva da outsider dal punto di vista della consapevolezza del prodotto rispetto a molti concorrenti.

Anche i papà si interessano all'acquisto del seggiolino auto.

Analizzato il contesto, è arrivato il momento di introdurre il concetto di Personas, cioè di archetipo della persona a cui l’azienda vuole offrire un beneficio e vendere i propri prodotti.

Per definire in modo preciso delle Personas bisognerebbe avere quante più informazioni possibile e, idealmente, procedere a delle interviste.

La situazione ideale non è sempre possibile, perciò spesso ci si trova a fare il meglio con quello che si riesce a ricavare dai dati reali, anche facendo delle ipotesi che però vanno poi validate e verificate da informazioni concrete.

Dagli insights alle Personas

Questi insights iniziali possono arrivare da ricerche di settore (dati generali), da sondaggi commissionati dall’azienda stessa (dati settoriali, più specifici), dai feedback del servizio clienti, dalle informazioni raccolte sul campo dai commerciali presso i rivenditori, dagli analytics del sito web e dei canali social, dai commenti lasciati nel blog e altro ancora. 

Il metodo delle Personas in qualche modo ci ha permesso di parlare di data driven prima dell’avvento delle tecnologie esponenziali di cui tanto si parla da qualche anno a questa parte.

Le mamme sono state le protagoniste dello studio delle personas per Peg Perego.

Da agenzia che si avvicinava al settore dell’infanzia per la prima volta, ci siamo concentrati sulle donne e sui diversi tipi di mamma, ma non abbiamo escluso a priori che i papà potessero dire la loro sull’acquisto di una seggiolino auto e che lo stesso potessero fare i nonni, spesso tra i principali fruitori di questo tipo di prodotto.

Quello che è uscito dal nostro studio era un quadro di circa una decina di Persons, profili dettagliati di persone con un nome, una foto, delle caratteristiche piuttosto precise, interessi, paure, ecc. 

Quando sai a chi parli, puoi comunicare meglio

Da qui, ci siamo chiesti che leva di comunicazione potessimo usare per fare in modo che un seggiolino auto potesse alleviare le loro ansie, soddisfare il desiderio di avere un oggetto bello ed elegante ma anche sicuro e facile da istallare, pulire, regolare.

Le Personas sono state il punto di partenza per cominciare a far ragionare l’azienda su una comunicazione orientata a degli individui particolari e complessi, e non a dei generici clienti senza un volto o un nome, magari identificati con vecchi stereotipi di genitore e di famiglia.

Nel tempo, questi archetipi sono stati via via raffinati dai dati raccolti, che hanno confermato degli aspetti e ne hanno smentiti altri, o in certi casi hanno evidenziato nuovi trend ed evidenze di cui tener conto.

Un marketing con le Personas al centro

Le Personas non sono un concetto statico, ma in continuo movimento e aggiornamento.

Quello che è successo in Peg Perego dopo aver avviato quel processo è stato che le Personas sono diventate il modo in cui pensare non solo i contenuti da veicolare con la comunicazione, ma anche con cui concepire gli stessi prodotti.

Alla fine del percorso, le macro categorie di prodotti erano tagliate esattamente sulle caratteristiche delle cinque principali Personas che avevamo identificato negli anni precedenti.